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martedì 15 marzo 2011

Dialogo tra un pazzo e un venditore di fagioli

Maledetto renitente! Quanti ettari di filo spinato hai sorvolato per scioglierti su quella poltrona?
Su per giù una settantina.
Sfiduciato! Disonorevole! Speravo che il mondo girasse in senso orario per recuperare un po’ del mio tempo… e invece guarda come sono ridotto. Sono mesi che mangio solo fagioli, mi sento male. Passami un bicchiere.
Sei nel posto giusto.
Ti racconterei di quella capra che viveva sulle più alte vette dell’Himalaya, ma sono troppo stanco. Il mondo è già stanco, è ancora stanco. Non pesano tanto i secoli quanto le anime dei dannati: non sanno più dove metterle… faranno un altro decreto.
Governo ladro...
Piove! Piovono dadi, simbolo d’infingarda passione. Sciami di dadi muggiscono e si dilaniano contro palizzate di baionette. Ah! Ho abbandonato la mia ruota per un dado, bel mestiere ho combinato.
Meglio un dado oggi o una ruota domani?
La ruota… la rivoglio! Sono vecchio e ti confesso che è meglio vivere aggrappato alla speranza di una ruota che gettato nell’angolo più cupo di un dado.
Dà-do. Nella parola c’è un chiaro riferimento.
Dare… siamo quel che diamo o quel che riceviamo? Nessuno ed entrambi, caro signore dei miei fagioli. Siamo un’entità che si costituisce con l’andare del tempo, un castello i cui granelli aumentano fino a che, quando sono ormai troppi, crollano e si riversano sopra qualchedun altro.
Questo ti turba?
Certamente non questo. Mi duole non poter scegliere, o per lo meno sapere, a chi tramanderò la mia sabbia. L’ho sudata sai, l’ho dovuta difendere dai lupi! Fai presto tu a vendere fagioli da un baldacchino. Vieni a fare la guerra, guarda in faccia le ossa che stroncano l’anima! Raccogli una testa dalla polvere, prova cosa vuol dire la sete di casa…
Vorrei saperlo.
Te lo auguro. A vedere solo questa vita verrebbe da dire che siamo più noiosi delle zebre. Con la differenza che noi abbiamo inventato i cannoni e le navi e le ferrovie! Una nave non è fatta per rimanere nel suo porto.
Tuttavia il molo è un posto sicuro.
Sicuramente l’ultimo luogo nel quale vorrei morire, il primo in cui avrei voluto nascere. A sopravvivere a un naufragio se ne esce con un paio di occhi nuovi: questo non è un molo, è un cimitero! Un loculo, per Giove! Portatemi via di qui… non seppellitemi vivo nella melma! Voglio morire per davvero, io.
Tu sei pazzo…
Appunto. Ma tu sei un venditore di fagioli. Io vedo cose che non puoi neanche immaginare, e tu? Tu vedi solo un pazzo. Un pazzo col bastone, la dentiera, una foto sbiadita nel portafogli… Questa foto l’ho scattata quando avevo ancora gli occhi vecchi, guarda.
E’ un albero?
Un albero?! Per tutti i bracconieri di anime, questo non è solamente un albero! Osserva bene la figura che esso compone, non ti sembra umana? Che dico umana… viva! Non riesci a sentire ciò che ti sta comunicando quello che tu chiami albero? E guarda lo sfondo, il tramonto, quel lembo di nuvola… Che splendore!
Continuo a vedere un albero.
Questo ti deve mettere in guardia, figliolo. Con i tuoi occhi pieni di fuliggine non vedi che le sagome riflesse della realtà. Parti! Lascia questo pollaio, abbandona il fienile! Se resterai qui diverrai cieco e non vedrai tanti tramonti, tante aurore, tanti… alberi!
Hai ragione. Sei pazzo, ma hai ragione.
Ed è proprio per questo che dico il vero, perché sono pazzo. Pensi di essere più intelligente di un cane? Beh, lui è più sensibile di te, può percepire una gamma di odori e rumori da impressionare qualsiasi macchinario umano. Io ho imparato a sentire quegli odori, a farli miei. Ho ascoltato quei rumori e ora li distinguo come il rosso dal verde. Un pazzo non ha pregiudizi ma ascolta, fiuta, impara tutto da tutti, in silenzio. Questa è la mia forza.
Ammirevole.
Di più! Micidiale, dirompente quanto placida è la nostra anima! Corpo sereno e mente libera: quant’è bello essere pazzi! La vera sfortuna è quella di essere malvisti dalla gente. Ma ti dirò, in confidenza: meglio evitato che molestato. Era troppo soffocante camminare nella folla opaca e muta, lavorare senza sosta in mezzo a una torma immonda per arrivare, a sera, ad addentare un pezzo di dignità conteso da un gregge di stomaci senza cuore. Era troppo… così ho deciso di fare il pazzo.
Una scelta coraggiosa… e di che vivi?
Aaah! La tua ingenuità si addice a un uomo di questi tempi, all’uomo che ero anch’io. Io vivo. Vivo per, vivo in… non di. Per trent’anni ho vissuto di sopravvivenza: un po’ per pagare le tasse e un po’ perché non mi sembrava di avere altra scelta. Poi la guerra: il freddo, il sangue, i cimiteri… quante croci, quante ne sono servite per lavare quegli occhi? Quante notti di veglia passate a divorare le stelle! Ma poi l’ho vinta, la mia guerra.
Quale guerra?
Quella contro il normale, il civile uomo che ero. Contro la nuova società. Nuova per me, per lo meno. Nuova e spaventosa per i miei occhi, veri, di cristallo e non più fondi di bottiglia! Mai più voglio rimettere quegli occhi! Li ho gettati nella bufera e dati in pasto agli sciacalli. Dammi una spinta, fratello, dammi la forza per nuotare e lasciare finalmente alle mie spalle le alghe putride di questo porto. Vado, nuoto contro la corrente. Dove? Vado a riprendere la mia ruota.

"Nessuno si appaga del stato suo, eccetto qualch'insensato e stolto, e tanto più quanto più si ritrova nel maggior grado del fosco intervallo de la sua pazzia." Giordano Bruno
Immagine: Annibale Carracci, Mangiafagioli, 1584-1585.
Ispirazioni: Giacomo Leopardi (“Operette morali”, Zibaldone); Platone (Dialoghi).

martedì 8 marzo 2011

Dov'è il tuo Dio ora?

Uccideresti una persona? Non mi preoccupa molto la cosa in sé e nemmeno mi dispiace per lo stronzo che dovrà lasciare questa vita. Gli è andata sempre bene, è nato con la camicia, nel Paese e nell’epoca giusta: ora tocca a me. No, quello che mi rammarica veramente è dover arrivare a tanto per riportare la giustizia tra gli uomini. Dove sono finiti gli Dei? Non ci hai mai creduto in Dio mi bacchettano… Penso che se esistono più divinità, allora ci sono più possibilità che almeno una ci assecondi. Non dico benedirci o rivestirci della loro fottuta aura divina ma almeno ascoltarci, farci capire che si interessano di noi! Se esistesse Dio onnipotente non gliene fregherebbe nulla del vostro lavoro, delle automobili, la casa, la famiglia, la fidanzata, la salute, il successo, il porcospino, il caffelatte e la tazza del cesso… Vi maledirebbe uno a uno come sto facendo io adesso e si siederebbe comodamente a gustarsi il teatrino tragicomico della vostra vita. Non passa giorno che non pensi a quanto sia inutile il vostro Dio, che ora è Cristo ora è il Milan, e quando non è il denaro è una mignotta sul calendario. Solo oggi invece ho rivolto il mio pensiero verso qualcosa di diverso: pensate se avvenisse un Big Bang all’inverso, un’implosione dell’universo, che verrebbe così a scomparire. Quale sarebbe il vostro ultimo pensiero? Ho lasciato acceso il forno, avrò chiuso il garage, chi si occuperà della piccola Kety, mancano solo due giorni a Natale, Don Matteo riuscirà a scovare l’assassino, e se poi mi dice di no, cosa le regalerò a San Valentino, converrà investire sul mattone? Io penserò solo: perché così tardi? Perché così tanto tempo prima di salvarci e farla finita? Penserò: dov’è il tuo Dio ora? Hai dimenticato anche quello nell’ultimo istante della tua miserabile vita? Miserabili: così vi ha definiti un Plutoniano, un alieno che è venuto a visitare il pianeta rosa, colore della vostra carne. E’ intelligentissimo questo curioso essere, si chiama Vero e può assumere ogni forma lui desideri, persino liquida o gassosa. Riesce a comprendere i calcoli matematici più impossibili e le terminologie più improbabili in tutte le lingue esistenti. Ha imparato a memoria la Divina Commedia in due decimi di secondo. Però certe cose non le vuole capire: non le riesce a capire. Le banche, i soprusi, le guerre, le tasse, il controllo delle menti, la polizia, la censura, la droga… non c’è modo di fargli capire cosa siano. L’altra settimana ho impiegato quattro ore a spiegargli cosa sia la pubblicità, chiaramente con esito fallimentare. Ho consigliato a Vero di stare alla larga dalla Terra, perché se non riesci a capire come girano le cose qua rimani sempre sul fondo. Vi potrò sembrare un filosofo ma non sono un cazzo di filosofo: non ho la barba, ho letto pochi libri, non ho una faccia seria e nemmeno un paio di occhiali decenti o un titolo di studio da sfoggiare in pompa magna. Ma penso di aver capito qualcosa e di avere il dovere di infondere queste intuizioni. Non verità, sia mai, tutti quelli che hanno predicato la verità hanno sempre avuto un doppio fine. O facevano il doppio gioco. O giocavano sporco. Insomma, non fidatevi di chi ha in tasca la verità, seguite piuttosto chi la cerca. Pensa, oggi sul treno ho sentito qualcuno dire che volere è volare… quanto odio questo tipo di frasi scontate! Aforismi fittizi e vuoti come: se la ami seguila fino alla follia e vai fino in fondo per scoprire quali follie lei farebbe per te. Non ho mai fatto leggere queste schittate d’inchiostro al mio amico Vero, persino io me ne vergogno. Volere è volare dicevamo: penso piuttosto che poter volare e non volerlo fare sia una mancanza non scusabile. Questo mi dispiace, perché quel poco di buono che ci è concesso non lo sfruttiamo nemmeno. Smettetela di rimpinzarvi di illusioni: i sogni servono ad andare avanti, ma non sono che l’antipasto. Siate vigili e abbiate il coraggio di vedere grigio, di guardare il bicchiere non semi pieno ma completamente vuoto. Andate a riempirlo voi o morirete di sete leccando il fondo del vetro! Vi sembra poco? Sto già parlando troppo, forse finirò nei guai. Chissà perché sto parlando ad un coniglio, probabilmente è il volto più umano che possa trovare al momento nel raggio di qualche chilometro. Forse anche lui in passato era un uomo, ora è fortunato. E’ in gabbia però, ha avuto la sventura di nascere in questi tempi: lo ingrassano tutta la vita e alla fine gli tirano il collo e lo cucinano nel burro, e se non è per mangiarlo è per divertire qualche cucciolo d’uomo depresso. Insomma gli è andata male di nuovo, magari la prossima volta rinascerà su Plutone. Lascio dormire il coniglio nella sua rassegnazione, tra poche ore sorge il sole, le sveglie suonano e i cadaveri viventi si ammucchiano nei grandi centri, urbani o commerciali, pensano poco e lavorano parecchio, poi tornano nelle loro tane. Andrà avanti così finché vorranno gli Dei, loro si divertono molto a osservarci.

venerdì 11 febbraio 2011

Foibe, tra storia e ricordo

Mi vergogno delle polemiche che si sollevano ogni anno sul tema delle foibe e dell’esodo istro-veneto dalle terre “al di là dell’acqua” avvenuto nella seconda metà degli anni ’40 del secolo scorso. Sarebbe ora di smetterla, per dignità, di giocare carte politiche sulla pelle e sulle anime di migliaia di persone trucidate e centinaia di migliaia esiliate.
La storia dovrebbe offrirci la possibilità di capire il presente attraverso il passato e invece spesso, troppo spesso, soprattutto in ambito moderno-contemporaneo, diventa occasione di sfruttamento per fini poco nobili.
Analizzare la tragedia delle foibe da un punto di vista storico significa partire dalle cause scatenanti, passando attraverso le responsabilità dei carnefici e le sofferenze delle vittime, giungendo così a trarne un insegnamento che possa arricchirci culturalmente e personalmente, oltre a contribuire nella ricerca di una soluzione alla situazione che, da sessant’anni a questa parte, si è venuta a creare nella zona interessata.
Ricordare le foibe vuol dire fare informazione storica - noto con amarezza come per molti queste siano solamente un fenomeno geologico e per altri nemmeno quello - spiegare cosa sono, da chi e come sono state utilizzate e quali le cause e gli effetti storici nonché geopolitici che le hanno accompagnate. Non può risultare slegato dal discorso un quadro sulla situazione istriana e dalmata, il cui suolo è stato teatro dell’accanimento dei due fronti: da una parte il comportamento arrogante e colpevole assunto dall’Italia dagli anni ’20 in poi - con l’italianizzazione forzata nei confronti di veneti e slavi e le conseguenti persecuzioni verso i dissidenti, fino ad arrivare alla connivenza con la Jugoslavia dei politici del dopo guerra, Togliatti e De Gasperi per non fare nomi - dall’altra le efferatezze perpetrate dalle truppe jugoslave di Tito sui vinti.
Poi assistiamo allo squallido rimbalzo delle responsabilità: slavi e comunisti additano come invasori e colpevoli di atti barbarici - giustificando i propri - gli italiani e i fascisti; a loro volta questi mettono in luce solamente le colpe degli altri rivendicando le proprie pretese sulle terre adriatiche sottratte dalla “vittoria mutilata”. Tesi sostenuta da pochi è quella che vede nel colpevole l’esasperato nazionalismo di entrambe le parti in gioco. Un nazionalismo artificioso e di stampo tardo-ottocentesco che oggi non ha più ragione di esistere (la Jugoslavia si è frammentata, l’Italia non ancora) ha portato rancore e distruzione in una terra in cui da secoli popolazioni di diverse radici, dagli illiri agli austriaci passando per slavi e veneti, hanno saputo convivere serenamente.
Il divario tra le componenti etniche è scattato come una miccia incontrollabile nel momento in cui quella terra doveva essere italiana o jugoslava: ovvero, in entrambi i casi, diventare parte di qualcosa a cui non apparteneva. Semplicemente l’Istria era Istria e la Dalmazia Dalmazia, al di là di come la potessero pensare in Italia o in Jugoslavia. Da questa lezione storica risulta chiaro che l’imposizione forzata di un’identità artificiale che non tenga conto di quelle vere pre-esistenti non può portare che scompiglio se va bene ed eccidi efferati quando la situazione precipita.
Agli infoibati, agli esuli e a tutte le vittime di questa tragedia va il nostro silenzioso compianto. Per loro e per noi stessi manteniamo vivo il ricordo, nel lutto e nella consapevolezza, perché il sangue versato e i soprusi subìti non siano vani né dimenticati.

venerdì 28 gennaio 2011

Verità e storia

Essendo dall’anno 2000 ricorrenza ufficiale per lo Stato italiano e dal 2005 celebrato anche da altri stati compreso l’ONU, mi sembra il periodo giusto per parlarne. Di cosa? Ma naturalmente di uno di quei pochi avvenimenti che per essere ricordato non ha uno, bensì tre nomi propri. Il più emblematico tuttavia è “Memoria”, con quella lettera maiuscola che suona come una beffa verso le altre memorie, quelle di seconda classe.
Ma è importante focalizzare l’attenzione sul termine “evento”, seguito da un aggettivo altrettanto fondamentale: “storico”. Ora sappiamo che tutto ciò che riguarda la storia fa rima con ricerca, studio, analisi: insomma sostantivi che rievocano movimento ed evoluzione. Invece per trattare questo particolare avvenimento si ricorre a un ossimoro: “verità storica”. Due parole di una portata incontrollabile che cozzano e stridono tra loro fino a che una di queste, la verità, si sbarazza del suo aggettivo per diventare una verità. Assoluta.
Per fare un esempio più concreto, il 24 gennaio 2011, sul tema delle leggi contro il negazionismo, il presidente della comunità ebraica di Roma ha asserito senza mezzi termini che affermare che l'Olocausto non sia avvenuto è “un gesto stupido, immensamente riprovevole e simile a chi sostiene che la Terra è piatta.”
Chi ha un minimo a cuore la storia potrebbe non reggere il peso di una simile dichiarazione. Eppure essa dà il metro dell’assurdità di chi porta avanti retorica e demagogia su un piano storico. Vogliamo la verità? Esigiamo dibattiti con tanto di controparte, documentazioni di ogni sorta e nessuna propaganda. Abbiamo il diritto di sapere come è andata la storia, di sentire l’opinione di tutti, a costo di sentirci dire cose a nostro dire sgradevoli - questa e non altro è la libertà di espressione.
L’immobilismo, le leggi anti revisionismo e le versioni ufficiali non aiutano per nulla a scavare a fondo la verità che noi acclamiamo a gran voce. Chiediamo che non venga etichettato come pazzo o nemico pubblico chi espone e argomenta tesi storiche: in quanto parte della storia pretendiamo di avere voce in capitolo sull’argomento. Perché se avessimo seguito la strada della censura, cari signori, saremmo ancora convinti di vivere sopra a un disco. Piatto.
"La verità vi farà liberi, la menzogna credenti. Perché la menzogna ha un fascino segreto e un potere invincibile sugli animi: si accredita con l’opinione, si afferma e si consolida con l’uso, assume tutte le apparenze della verità, presto o tardi giungerà a sottomettervi e acquisterà sugli animi un dominio indistruttibile."
Immagine: La verità e la menzogna, 1490

La sfida


Faceva freddo nella grotta. Davanti a me si ergevano i sette demoni della cupidigia, pronti a sbranare ogni brandello della mia anima. Mi sentivo debole e abbandonato. Aspettai che mi rivolgessero la parola.

Per prima cosa mi chiesero di rinnegare le mie origini e rinunciare ad ogni identità. Poi mi offrirono generose ricompense per mutilare la lotta, firmare la resa, regalare la vittoria. Mi fecero capire che non aveva più senso andare avanti, che la mia era una folle lotta contro i mulini a vento. Sbavavano e sorridevano compiaciuti, sicuri di sé e della mia risposta. Tremante alzai la testa. Li guardai uno ad uno negli occhi, strinsi i denti e urlai guai! Guai a colui che rinnega e al vile che retrocede. Ho promesso! Ho giurato che questa spada non conoscerà tregua fino a che non avrò abbattuto anche l’ultimo dei vostri mulini a vento. Voi mi siete testimoni.

Detto ciò uscii, barcollando per lo sforzo, verso la luce. Ero consapevole che quel gesto mi avrebbe condannato per sempre. Sorrisi, perchè in realtà dentro di me sapevo che quella era la mia strada.
Immagine: Dante, La Divina Commedia, Inferno XXI v. 72 "Nessun di voi sia fello!"

martedì 11 gennaio 2011

Il Fiume

- Perché continui a camminare?
- Non posso farne a meno. Puoi pensare a un fiume immobile? A un ponte statico? L’uomo è fatto per attraversare il suo ponte, navigare lungo il suo fiume. Penso che il fiume sia però la metafora più adatta: siamo abituati a pensare al ponte come opera ingegneristica umana, mentre la vita sarebbe troppo complicata per essere architettata da un bipede del nostro genere.
- Quindi questa vita è un fiume?
- Esatto. E’ il fiume che navighiamo se, per volontà nostra, non decidiamo di affogarci prima.
- Spiegami, ti ascolto.
- Tutti noi nasciamo nel più profondo entroterra, in una foresta che riecheggia di primitivo, caratteristica che, concorderai con me, è imprescindibile nel neonato.
- Non vedo come disapprovare.
- Dunque, dal sottobosco di questa foresta oscura sgorga un rigagnolo: il tuffo in questo rigagnolo è il nostro impatto con la vita terrena. E’ l’inizio del viaggio, il ruscello che diventerà oceano.
- Capisco.
- Impariamo presto a nuotare, o meglio, siamo costretti a farlo. La situazione ci impone di nuotare o tornare indietro: respiriamo per non sprofondare negli abissi. La portata del fiume cresce con noi e non aspetta mai nessuno, chi non sta al passo troverà correnti più forti di lui. Non dobbiamo mai pensare che la vita sia benevola: la natura che ci ha messi al mondo non è buona né malvagia, ma indifferente. Non vede i sentimenti, non si fa trascinare dalle emozioni, non prova compassione: fa solamente rispettare le regole del gioco.
- Così la vita sarebbe un gioco?
- Sarebbe più esatto dire che il gioco è una sorta di vita. Non trovi? Tornando alla nostra metafora iniziale, dicevo che il fiume rappresenta al meglio la vita umana. Infatti non segue un unico percorso preciso e neppure c’è un punto di arrivo predestinato: un’infinità di affluenti ed effluenti, laghi e canali rendono ogni percorso unico e lasciano la possibilità al pellegrino – così chiamo l’uomo – di scegliere la sua strada. Egli deve inoltre provvedere al suo mezzo d’imbarcazione, che rovescerà e riparerà, perderà e riconquisterà, imparando dai propri errori e facendo tesoro dei suoi successi.
- La metafora calza a pennello. Tuttavia sento che manca qualcosa…
- Troppo presto vuoi sapere, allievo, come reagiranno tra loro i pellegrini. Forse la nostra stessa metafora sarebbe troppo riduttiva e inefficace al riguardo, poiché ricorda, come il gioco, anche un fiume non è altro che una piccola vita nella vita. Quello che ti ho appena ho mostrato è il percorso verticale dell’uomo, compiuto dall’anima accompagnata dal corpo. Quello del corpo accompagnato dallo spirito – il percorso orizzontale – avremo sicuramente modo di approfondirlo più avanti.
- E allora cosa accade quando ha termine il viaggio?
- Le anime, a contatto con l’acqua salata, si scindono dal corpo e si uniscono tra loro. Cosa ci sia nel fondale marino non me lo chiedere, poiché a chi sta ancora compiendo il viaggio della vita è concesso di vederne soltanto la superficie. Ascolta i miei consigli piuttosto.
- Lo farò.
- Conduci la tua navigazione con serenità e consapevolezza, timone saldo e forti remi. Non permettere mai alle inerti paludi di ancorarti, tra la ruggine, al fango della rassegnazione. Non farti trascinare dai i venti della paura ma imponi tu stesso la rotta. Fa’ in modo di essere pronto per la nuova vita quando ti tufferai nell’oceano.

Ispirazioni: Platone (Dialoghi); F. Nietzsche (“Così parlò Zarathustra”)

martedì 28 dicembre 2010

Siamo pazzi... arrendetevi!!

Era una di quelle giornate uggiose da cui non ti aspetteresti un granché. Se ne stava lì, come un coccodrillo dopo un pasto, il nostro Vate, uomo dai mille pensieri. Davanti al suo piccolo naso da segugio un pubblico che, in una giornata di sole, avresti definito epocale.
Sedevano a due a due le coppie più incredibili. Formavano un ferro di cavallo e ognuno dava le spalle a chi lo seguiva. Li aveva radunati proprio tutti.
C’erano Michael Jackson e Giulio Cesare, Erwin Rommel e Gesù Cristo, Sigmund Freud e Nelson Mandela, Maria de Filippi e Winston Churchill (quest’ultimo pareva infastidito per via del suo abbinamento). Verso la finestra si era appollaiato Anubi, di fianco a Pamela Anderson, più indietro scalpitavano sui banchi Dj Francesco e Marco Pannella, che si divertiva a nascondere la merenda a Muzio Scevola, in coppia con un improbabile John Holmes. E ce n’erano tanti altri, ma non avrei l’animo di nominarli tutti quanti.
Era uno spettacolo affascinante, una diatriba crescente tra caos e pazzia, una galassia di assurdità in una sola stanza. Torturava i capelli canuti con una mano e con l’altra segnava gli assenti... “E’ ancora malato Maometto?”. Diede un colpo al microfono: silenzio e riverenza da parte di tutti. Si alzò e parve più basso di prima. Si affrettò a sedersi nuovamente. Alzò le mani, imprecò in una lingua che non esiterei a definire curvilinea, si schiarì la voce e bevve uno strano intruglio di viscere di lonza.
Attimi interminabili di silenzio. Qualcuno tremava. Dal cielo presero a piovere panettoni senza canditi e una banda di automobilisti sfrecciò intorno all’edificio. Un megafono gracchiava a ripetizione: “Arrendetevi, siamo pazzi!”
Il Vate chiese gentilmente a Iva Zanicchi di chiudere la finestra, dopo di che ripiombò il silenzio. Sfilò dalla tasca destra dei pantaloni un piccolo libricino nero, lo pulì dalla cenere, aprì le braccia al cielo come farebbe profeta e tuonò con parole che riecheggiavano nell’aria: «In chiunque sa ben vedere, resterà solo dello stupore nell’accorgersi come si sia creduto di scardinare il mondo borghese affermando proprio le istanze che lo hanno univocamente consolidato!».
Applausi, lacrime, bestemmie.
Marinetti prese a strombazzare il clacson di un tir: piangeva per la commozione. Jo Squillo e Adolf Hitler aprirono uno striscione da stadio: “Il pensiero che si fa azione!”. Paolo villaggio gridava entusiasta: “Più archibugi meno accademie!”. Era il tripudio.
Vittorio Sgarbi se ne venne fuori con un “Andate a lavorare, capre!”. Mishima fu onorato di aiutarlo a compiere il Seppuku. “Vincere! Festeggiare! Trebbiare, per Ercole!” strepitava Mussolini, visibilmente ubriaco. “Momento, momento, momento, momento, momento! Vate, questo non è il mio bicchiere del Che!” Faceva giustamente notare Castro. A Marco Carta venne la pessima idea di cantare: D’Annunzio lo assassinò brutalmente col modellino di un Mas. Ahmadinejad approfittò del momento per strangolare Bush con un’anguilla: l'ex presidente invocò l’aiuto delle Nazioni Unite, che però erano in bagno e si erano perse tutto lo spettacolo.
“Diocàn, bisogna darghe!” apostrofava un ragazzo fuori dal corridoio: Ratzinger lo rincorse fino al bar per esorcizzarlo. “Azione!” bofonchiava Alessandro Magno. “Passione!” ribatteva Shakespeare. “La mia razione!” pretendeva con forza un soldato prussiano. “Detonazione!” insisteva Marinetti. “Castrazione!” annotava compiaciuto Calderoli. “Per Giunone!” Esclamava Caligola. “Cicerone?!” sussurrava incredulo Nerone. Quell’altro: “Nerone!”. “Precipitazione!” illustrava Giuliacci. Sembrava allarmato Homer Simpson: “Ispezione!”. “Salvazione!” predicava il Cristo. “Annientazione!” rincarava Nietzsche. “L’hanno già detto rivoluzione?” la tentava il Che. Mosconi: “Mi g’ho de far colazione!”. “Contro il sistema, contro il sistema…” non arretrava di un centimetro il Vate.
Immagine: Rissa in Galleria, Umberto Boccioni, 1910

lunedì 22 novembre 2010

Non Mihi Domine

Non ho un padrone. Così ho voluto scrivere all’ingresso della gabbia di Tiberio, criceto russo di razza Winter White Pearl. Tiberio è imprigionato, in apparenza. Le sue azioni sono limitate spazialmente dalle sbarre che lo circoscrivono. Tutto vero, eppure vi dico che è più libero di molti di noi.
Noi uomini del 2010 possiamo prendere un aereo e arrivare all’altra estremità del globo in meno di un giorno: tuttavia siamo schiavi dei mezzi che abbiamo inventato, siamo dipendenti dal petrolio come dall’ossigeno. Abbiamo la facoltà di girare il mondo, trasferirci, prendere residenze, andare in vacanza, ma non sappiamo instaurare un rapporto equilibrato con l’ambiente in cui viviamo ogni giorno. Possiamo inviare e ricevere informazioni da una parte all’altra dell’oceano in una frazione di secondo, senza riuscire più a comunicare con il nostro vicino. Possiamo sapere quello che succede, ovunque e 24 ore su 24, ma non riusciamo a renderci indipendenti dalla TV, a riunirci spontaneamente per rivendicare di persona le nostre volontà senza aspettare che qualche politicante incravattato lo faccia per noi.
Dal canto suo un criceto ha un raggio d’azione di mezzo metro scarso ed è circondato da sbarre di metallo che non può valicare. Possiamo però dire che sia schiavo? Schiavo di chi e di cosa? Egli è solamente in cattività, vincolato da una forza superiore è di per sé è libero. Prigioniero è colui che è costretto e limitato da altri, schiavo invece chi si incatena da solo.
Schiavi, oggi un criceto vi ha insegnato qualcosa: la gabbia peggiore è quella nella quale non sappiamo di vivere.
"Schiavo è chi aspetta qualcuno che venga a liberarlo." Ezra Pound

sabato 20 novembre 2010

Processo all’uomo

Ho deciso di mettere sotto processo l’uomo, o quel che ne rimane.
Egli, esso, è accusato di non aver gelosamente custodito ciò che gli è stato tramandato.
Uomini! Metto sotto processo la vostra dignità, che, come qualcosa di usa e getta, una volta spremuta avete pensato di buttare. Chiamo in causa la parola, che, se vale come l’uomo, possiamo tranquillamente dirlo, non esiste più.
Vi accuso di tradimento, verso gli avi e verso i figli. Vi accuso di materialismo ed egoismo: terrificante paradosso, il nulla eterno vi inghiottirà mentre conterete il vostro denaro! Incarcerati nel vostro individualismo, non potrete che chiudere gli occhi nell’indifferenza, lasciando che il mondo vi divori inermi nel caos.
Sarete condannati da voi stessi, dalla vostra coscienza stuprata e dal vostro spirito trascurato. Condannati dal vostro corpo malato, infiacchito dall’inerzia e corroso dall’apparenza.
Sarete voi allo stesso tempo gli imputati, l’accusa, la difesa e i testimoni del processo. La vostra giuria, l’imparziale ed inflessibile storia.
Vi metto sotto processo, uomini. Vi vedrò inesorabilmente sbranati dalla vostra coscienza. Non proverete dolore, forse nemmeno rimorso, ma solo un perenne, noto e nauseante senso di rassegnazione. Uomini, il verdetto è prossimo.

domenica 3 ottobre 2010

Le quattro regole dello Storico


Da www.storiainrete.com

La Storia non è nè una religione né una morale
Lo storico non ha il compito di esaltare o di condannare: lo storico spiega.


La Storia non è schiava dell’attualità
Lo storico non applica al passato schemi ideologici attuali e non introduce negli avvenimenti del passato la sensibilità d’oggi.

La Storia non è Memoria
Lo storico, con un approccio scientifico, raccoglie i ricordi degli uomini, li confronta, li mette in relazione con i documenti, con gli oggetti, con le prove, e stabilisce i fatti. La Storia tiene conto della memoria ma non si riduce ad essa.

La Storia non è un oggetto giuridico
Non spetta né al Parlamento né all’autorità giudiziaria definire la verità storica. La politica dello Stato non è la politica della Storia.

martedì 7 settembre 2010

Punti di vista

Della serie: quando le parole degli altri sono più efficaci delle nostre.
Questo messaggio mi è arrivato in privato sul canale di Youtube, dopo una discussione su un video riguardante l'immigrazione. Il soggetto in questione potrebbe essere il vostro vicino di casa, il vostro compagno di classe, il vostro collega, il kebabbaro da cui vi rifocillate nella pausa pranzo. Riporto il testo così com'è, leggetelo tutto d'un fiato.

"Sono uno di colore, si un negro!
e allora senti qui:

io compero la tua pizzeria fallita, in contanti, e ci faccio 2 kebap e tu vieni a mangiare da me, con le pezze al culo, poi invado un quartiere della tua città, tu hai paura e non ci entri, poi mi prendo la casa che a te non daranno nemmeno dopo 15 anni di graduatoria, poi dico "a" e tu devi togliere il crocifisso con il cadavere dalle scuole, poi tuo figlio è l'unico bianco in classe, il diverso alla fine è lui, poi me la rido al pensiero che tua mamma a paura ad andare in giro perchè ci sono "gli immigrati", poi mi scopo tua sorella, che si converte e tu devi stare muto. poi apro una moschea, con i tuoi soldi, e tu devi stare muto, poi ti prendo per il culo in faccia e tu non capisci un cazzo perché sei una capra, poi apro 2000 negozi etnici e tu devi stare muto e subire, poi, sempre con i tuoi soldi, apro 300 associazioni pro-integrazione, poi mi prendo le tue strade e ci faccio i mercati, poi ti prendo il lavoro, perchè i tuoi compaesani preferiscono me, che costo meno e lavoro di +, poi vado in banca e mi danno il prestito che a te non daranno mai, poi ti osservo mentre vieni in vacanza nel mio paese perchè qui ti pelano e il mare fa cacare, poi mi metto in proprio e ti porto via il lavoro, poi torno al mio paese e, sempre con i tuoi soldi, mi espando e compero 3 hotel sulla spiaggia bianca, poi invado il mercato con i miei prodotti e ti riduco alla fame, poi apro 4000 macellerie islamiche con i fondi messi a disposizione dalla comunità europea (SEMPRE I TUOI SOLDI) e le tue macellerie chiudono, poi parlo la tua lingua meglio di te e quello tagliato fuori sei tu,poi faccio 8 figli mentre tu hai paura a farne 1, poi i miei figli faranno quello che ho fatto io, ma x 8, che diventerà x 16, x 32, x 64 e via dicendo..

Poi alla fine, ma solo alla fine, me la rido rotolandomi a terra al pensiero che tu rosichi per tutto questo e non ci puoi fare un cazzo e DEVI SUBIRE IN SILENZIO.
Sai che come puoi vedere intorno a te è TUTTO VERO, no?
SIETE UNA RAZZA IN ESTINZIONE, BIANCHI DEL CAZZO."

domenica 4 luglio 2010

Paghiamo tre volte lo stesso servizio



E’ proprio vero che talvolta i fatti quotidiani, anche i più irrilevanti, ci inducono a riflessioni approfondite. Mi è capitato alcuni giorni fa, quando mi è stata gentilmente infilata sotto il tergicristallo una multa di divieto di sosta per aver parcheggiato sulle strisce blu senza esporre il tagliando di pagamento.

Partendo dal presupposto che per un servizio che noi cittadini già paghiamo con le tasse non dovrebbe essere richiesto un secondo pagamento, ci sono altre considerazioni che rendono ancora più vergognoso il fenomeno, al di là dei 38,00 euro di sanzione.

La multa è stata infati emessa, con orario stampato e certificato, tre minuti dopo il parcheggio abusivo. Questo può solo significare che in quel luogo era presente un agente del traffico con il compito di sorvegliare solamente la zona interessta, di 20 posteggi complessivi circa. La teoria dell’“agente ad hoc” mi è stata confermata anche da espereinze dirette di altre persone e dall’osservazione pratica del comportamento dei dipendenti comunali nelle zone a pagamento, specialmente nei dintorni della stazione.

Arriviamo senza troppe difficoltà alla conclusione che il ricavato tintinnante e luccicante che finisce nei parchimetri ad altro non serve che a pagare il salario di chi li sorveglia con attenzione. Dunque dov’è il guadagno? E’ nelle multe, nelle sanzioni scaricate sui più distratti o frettolosi, che servono a rimpinguare le sempre più vuote casse del Comune.

Questo vergognoso sistema si inserisce in un contesto ancora più grave: quello dello Stato italiano. Quest’ultimo, dopo aver incassato senza troppi complimenti le tasse dei lombardi, che non solo pagano tre volte rispetto a Calabria e Campania (ad esempio), ma ricevono anche meno dallo Stato rispetto ai cittadini del basso stivale italico. Il risultato è che le casse comunali bresciane piangono miseria e il Comune è costretto a ricorrerre a due stratagemmi per far quadrare i bilanci: costruire e appaltare senza ritegno, rendendo edificabili i suoi terreni e rovinando l’ambiente, oppure sfruttare il sistema geniale delle multe. E’ questa la situazione che fa al caso nostro.

Dopo questa righe mi chiedo quindi perchè io possa riflettere tranquillamente su queste tematiche, andando alla ricerca di possibili cause e soluzioni, mentre fior di laureati, intellettualoidi e professoroni non vi prestano o non vi vogliono prestare attenzione e, quando si trovano davanti al parchimetro, inseriscono una ad una le loro monete senza fiatare. E se poi arriva una multa ogni tanto la pagano sospirando come hanno sempre fatto.

Ma suvvia cosa importa, nel frattempo è morto 'O guerriero Taricone e il premier ha fatto alcune battute osè sulle cameriere brasiliane. I bresciani per un po’ avranno qualcosa di "veramente importante" con cui distrarsi.

lunedì 28 giugno 2010

Ode alla storia



Nulla al mondo come la storia offre riparo dalla corruzione presente, nient’altro è così rassicurante, così pedagogico.

Non stiamo parlando di una macchina arrugginita, né di una fotografia sbiadita, tantomeno di una scienza sistematica o di fumo teoretico. Abbiamo d’innanzi a noi il bagaglio dell’Uomo. Un bagaglio di cultura, esperienze, errori, ingiustizie, glorie, disfatte, sangue, nascite, tradimenti e sacrifici.

Nata e nutrita dall’Uomo, essa sopravvive per l’Uomo e morirà solo con l’Uomo.

Se, sfogliando un album fotografico della nostra infanzia, ci capita di commuoverci, dobbiamo tanto più emozionarci davanti ai ricordi della nostra vita storica: un arco romano, una cattedrale gotica, la falange di Alessandro, il sacrificio di Leonida, le caravelle di Colombo, un aforisma di Cicerone, un soldato che parte per il fronte.

La storia è la pratica più genuina che i nostri avi ci abbiano consegnato: attraverso essa possiamo sognare, meditare, imparare, rivivere. Dev'essere quindi un dovere per noi studiarla, interiorizzarla e addirittura venerarla.

Poichè per quanto possa essere profonda, ogni altra dottrina tralascia un aspetto umano che è proprio solamente della storia: la conciliazione del singolo uomo, preso nella sua durata di nemmeno cent’anni, con i suoi predecessori, contemporanei e posteri, in un’unica vita che è durata millenni e che oggi, grazie a noi, sopravvive.

Regina tra le virtù, la storia non si limita ai dettagli degli uomini, essa è rivolta alla vita dell’Uomo.

giovedì 24 giugno 2010

Calcio



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venerdì 28 maggio 2010

Discorso alle truppe



Quello che segue è il discorso alle truppe tenuto il 30 dicembre 1944 dal comandante tedesco Kurt Meyer della 9ª SS-Panzerdivision Hohenstaufen, confluita nel 1° Panzerkorps SS durante l’offensiva delle Ardenne.

Pur prendendo spunto da un episodio storico reale, la situazione è volutamente fittizia (Meyer, in realtà comandante della 12ª SS-Panzerdivsion Hitlerjugend, era stato catturato dai partigiani belgi prima dell’offensiva), a sottolineare l’irrilevanza della precisione storica particolare di fronte al significato universale delle parole.

“Soldati! O dovrei forse dire Camerati! Amici! Fratelli!

Se saremo sfortunati, su queste alture, in queste fredde giornate di inverno, finiremo tutti quanti a marcire in una fossa e i vermi ci divoreranno il fegato. Ma, in questi momenti decisivi, non crediate nell’esistenza di una vita ultraterrena: siatene assolutamente certi. I nostri busti mutilati dai cannoni nemici, i ventri falciati dalle mitragliatrici inglesi, gli arti stritolati tra il terreno e i carri americani: non saranno che solletico per noi. Noi, soldati e camerati prima che uomini. Noi che vivremo pienamente anche dopo la morte.

Nulla di ciò che è puramente materiale vivrà insieme a noi: non le case bombardate, né i possedimenti o le ricchezze; nemmeno i titoli sociali, gli effetti personali o i cinquanta grammi di pane nero che ci spettano a giornata. Ciò che attraverserà l’abisso fatale della morte saranno le bandiere, le insegne, le mostrine, le armi ancora calde per la battaglia e l’aquila indomita che portiamo sul petto. Nient’altro. Sopravvive infatti alla morte solo ciò che trascende la materia, che è sintesi di gloria e onore, fedeltà e sacrificio.

Ripenso alla nostra impresa e sono sempre più convinto di essere nel giusto. Qualcuno però ci ha definiti esaltati, pazzi, assassini, squilibrati, violenti, criminali. Altri ci etichettano tutt’ora come folli, kamikaze di una guerra perduta. Altri ancora, o forse sempre gli stessi, dopo la nostra morte ci chiameranno vittime inconsapevoli, burattini, servi dei signori della guerra. La verità, amici, è che tutti questi intellettualoidi, questi pennivendoli e voltabandiera non ci conoscono. Essi rimangono comodamente seduti sui guanciali rigonfi delle loro poltrone, prostrati su scrivanie d’avorio levigato guadagnate vendendo menzogne. Loro non sono in piedi con noi oggi.

Noi, ognuno con la propria storia, con le proprie motivazioni, i propri principi, ideali, paure e sogni. Noi, manipolo di volontari, ultimi cavalieri del coraggio, fieri eredi di sangue e storia gloriosi. Noi figli, fratelli, padri e sposi della Patria.

Una guerra perduta… Ho davanti ai miei occhi duecento uomini in piedi, forti, giovani, arditi. Duecento divise armate davanti a me e un caldo sole di mezzogiorno sulla testa. Guerra perduta? Non vedo la sconfitta nemmeno nel cielo.

Lo sbarco è compiuto e con la presa di Parigi la strada è ora spianata, dicono. Non hanno fatto i conti con gli MG42, gli MP44, col filo spinato, le granate, i Panzer, i muscoli e i pugnali tedeschi. Siamo sulle Ardenne e non alle Termopoli, siamo duecento e non trecento, ma le gesta degli Spartani di Leonida riecheggiano come tuoni nelle nostre menti. La storia non aspetta altro che un’altra impresa gloriosa da annoverare tra le sue pagine sempiterne. Quest’oggi, camerati, la accontenteremo.

I nostri nemici ci sottovalutano: sapremo trarre forza da questa loro arrogante leggerezza. Credono forse di essere in crociera sul Missisipi o sul Tamigi? Presto capiranno che siamo nati tra le onde irrequiete del Danubio e del Reno. La miglior difesa è nell’attacco, ce lo ha insegnato lo stesso Führer: non ci resta che seguirlo.

Respirate fino all’estremo momento il sapore della natura. Possiate trovare, tra questi colli europei, la forza per non cedere mai di fronte al nemico. E nei momenti difficili, fratelli, ricordate di volgere sempre lo sguardo verso il cielo: è lassù che ci ritroveremo.

Vi chiedo oggi di combattere come non avete mai fatto, come non avreste mai pensato di fare. Che le mie parole vi cullino furibonde nell’assalto!

Stringete le armi, soldati, scaldate i cuori, sorridete. Vinceremo questa guerra se non perderemo l’onore.”

sabato 27 febbraio 2010

In compagnia di noi stessi



Rincorro un angolo solitario per scrivere. Pertanto leggete queste righe di riflessione in tranquillità, lontano dal fracasso della routine e dal frenetico vociare degli uomini.

Non mi permetto di contraddire la teoria aristotelica dello zoòn politikòn: l’uomo è come un animale che si realizza nella società; ma credo sia altresì fondamentale la sua necessità, nei momenti critici, di restare solo. Ovvero in compagnia di se stesso.

Quest’oggi, dopo una piacevole mattinata trascorsa in compagnia, da un momento all’altro il mio stato d’animo è radicalmente mutato: è bastata una notizia a cambiare la mia luna e, nell’immediato, anche il mio modo di pormi verso il prossimo.

Tra il mio umore di prima e dopo la notizia intercorreva lo stesso divario che c’è tra un agnellino strapazzato allo zoo dalle mani tenere di un bambino e un lupo selvatico delle vette innevate della Scandinavia, tra il manto morbido di uno scoiattolo di bosco e gli aculei serrati di un riccio. Il mio punto di vista trasfigurava chiunque mi fosse vicino: un amico diventava un insopportabile peso, un conoscente un patetico idiota, uno sconosciuto uno scarafaggio spregevole.

L’odio sovrasta l’amore, il caos l’armonia. La clessidra del tempo scorre lentissima e ogni nostro istinto ci spinge a chiuderci in noi stessi.

Cercai la solitudine nella musica malinconica e desolante: mi consolò. La trovai nel deserto del sonno e dei sogni lontani. Allontanato l’uomo, bersaglio dell’ira, l’isolamento placò gradualmente l’odio cieco.

Così dopo un attrito la lontananza fisica avvicina i cuori, rasserena gli animi e placa gli ultimi timidi brontolii della tempesta.

Sistemato il mio problema con gli altri, potei dedicarmi interamente al mio. Ripensai alla causa del mio malessere, ma, diversamente da prima, mi sentivo a mio agio: non più colto alla sprovvista, amareggiato e attorniato da troppi sguardi, ma meditativo, rilassato e finalmente solo. Nelle orecchie le note di una canzone particolare: “Only the wind remembers my name”. Fu proprio quella canzone a ricordarmi che non ero affatto solo: o meglio, che pur non essendoci altra presenza umana all’infuori della mia in quella stanza, non ero tuttavia abbandonato a me stesso.

Attraverso il ritmo scandito dalla batteria, le note ripetitive della chitarra e le urla che le accompagnavano, intravidi uno spiraglio di speranza. Non ero l’unico a provare quella sensazione. Non ero il solo a soffrire. Non ero solo.



lunedì 15 febbraio 2010

Sposi della vita, amanti della morte



Mi è recentemente capitato di fare un sogno particolare: un tribunale di guerra mi condannava alla punizione estrema insieme ad altri che, come me, si erano macchiati di un crimine che echeggiava come un cupo rintocco di campana: sovversione.

Parole aspre come condanna, pena capitale ed esecuzione, in quell’aula mi rimbalzavano alle orecchie risuonando come dolci note di libertà, martirio e sacrificio.

Come una folgore d’autunno si abbatte nell’infuriare della tempesta su un atavico platano, così la forza della volontà, l’inamovibile orgoglio e la fermezza d’animo attraversarono la mia schiena con un’immensa scarica di brividi. In quegli attimi non conoscevo paura, incertezza o timore. Non sapevo nemmeno cosa fossero né concepivo che potessero esistere. Sentivo ardere in me un fuoco alla sola idea di trovarmi faccia a faccia con la Nera Signora: e il desiderio che quel fatale momento arrivasse aumentava sempre più in me.

Ogni eventuale incertezza si inchiodò definitivamente quando vidi negli occhi dei miei compagni di sorte la stessa mia reazione davanti alla sentenza. Non ci scambiammo una parola nè rivelammo alcuna emozione ai nostri giustizieri, ma tra di noi percepivamo un’aura che ci dava forza e ci rendeva un unico corpo.

Ci condussero alle nostre celle, separate tra loro da muri di cemento che non potevano certo dividere i nostri cuori. Decisi di non passare le mie ultime ore nell’inerzia e presi a scrivere: volevo che rimanesse una testimonianza della mia morte.

Ma le parole mi sfuggivano di mano: i fogli accartocciati sul pavimento formavano un cumulo alto quasi quanto il letto, le lancette giravano veloci ed inesorabili e la penna non aveva ancora scritto nulla di cui potessi ritenermi soddisfatto.

Mi chiedevo se anche gli altri stessero vivendo la mia stessa situazione, ma non avevo risposta. Era come se si fossero allontanati anni luce dalla mia cella, quando il loro letto era solo a pochi metri dal mio. Passai la mano nei capelli sudati e mi imposi di scrivere qualcosa, qualunque cosa. Ma le dita erano di pietra, la mano tremava e il foglio davanti a me restava terribilmente bianco.

Mancava un’ora. No, non poteva succedere davvero. Avevo meno di vent’anni e un’intera vita davanti a me. Stavo per piangere, ma mi trattenni: ero lì perché avevo seguito il mio cuore, perché avevo scelto di non tradire i miei compagni, perchè dovevo dimostrare al mondo che c’era ancora qualcuno capace di morire per un ideale. Mi convinsi: pentimento e rassegnazione erano parole che non dovevano esistere nel mio vocabolario.

Abbandonai la penna e guardai fuori dalla finestra: il cielo del crepuscolo decretava la fine degli ultimi animi guerrieri.

Mezz’ora. Il cuore batteva a ritmi sfrenati, come se avesse capito che quei battiti sarebbero stati gli ultimi. Cominciai a camminare in circolo come un forsennato: l’angoscia aveva lasciato spazio al panico più totale. Imprecai a voce alta. Poi implorai Dio, qualunque Dio fosse, di riportare indietro il tempo. Volevo vivere. Vivere almeno altri dieci anni, incontrare il vero amore, avere una famiglia, una casa, servire la mia patria, terminare le mie battaglie. Erano speranze vane, mancavano pochi minuti.
Un rumore di chiavi risuonò nel corridoio muto. Erano venuti a prenderci. Sentii che trascinavano fuori il primo: il plotone si appostò nel cortile appena sotto le nostre finestre. Un prete pronunciò sbrigativamente le parole di rito, una voce straniera scandì alcune formalità che non riuscii a capire. Attimi di silenzio. Poi la stessa voce di prima: Load… Aim... Fire!

Sobbalzai agli spari come se avessero colpito me. Non c’era più tempo, tornavano verso di noi. Uno era caduto e il prossimo ero io.

Un soldato aprì la cella ed avanzò verso di me, mentre un altro aspettava sulla soglia. Come avviene quando un ragazzino incauto si avvicina troppo a un cane rabbioso, così io mi rannicchiai un po’, raccolsi tutte le mie forze e saltai addosso all’incredulo soldato con furia cieca. Non riflettevo: i miei muscoli si muovevano obbedendo ai nervi, che a loro volta seguivano gli sbalzi del cuore. Mi aggrappai alla sua faccia facendola sanguinare mentre lui urlava per il dolore, quando un barlume di ragione mi ricordò della guardia appostata sulla porta, che ora puntava l’arma verso di me cercando il modo di colpirmi senza ferire il compagno. L’istinto fece il resto: strappai di mano la mitragliatrice al soldato ferito, facendomi nel frattempo scudo col suo corpo, poi sparai all’impazzata sulla guardia, colpendola alla schiena mentre fuggiva chiedendo aiuto.

Il resto del plotone, allarmato dagli spari, si stava dirigendo verso di me. Ormai era inevitabile: sarei morto lì. Ma non certo implorando pietà in una squallida cella. Sarei morto onorevolmente, come si addice a un uomo libero. Così strinsi l’arma e mi scagliai nel corridoio, in un attimo nel cortile esterno. Premetti il grilletto e iniziai una corsa testa alta verso i colori rossastri di quello che sarebbe stato il mio ultimo tramonto.

Il bagliore si sprigionava fragoroso dalla canna della mitraglia mentre i colpi dei miei boia fischiavano tutt’intorno a me.
E fu in quei frangenti, fino a quando uno di quei proiettili non mi raggiunse il cuore, che compresi a pieno il senso della morte e quello della vita.


«La vita umana è strutturata in modo tale che soltanto guardando in faccia la morte possiamo comprendere la nostra autentica forza e il grado del nostro attaccamento alla vita. [...] Una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e spezzata, forse non è altro che un fragile vetro». Yukio Mishima

mercoledì 19 agosto 2009

Nazionalismo



Nazionalismo e patriottismo, sentimenti e visioni del mondo che mettono sopra ad ogni cosa la Nazione, la Patria. Molti hanno abusato –e lo fanno tutt’ora- di questi termini, ma pochi ne hanno seguito il vero cammino, con lo spirito e con il corpo.

Quanti si sono spacciati per nazionalisti col fine di avere una copertura, un finto scopo nobile sotto il quale nascondere i propri interessi. Quanti si sono guadagnati il favore del popolo farneticando di patriottismo per condurre a guerre di interesse (di pochi), per approvare costituzioni disastrose, per dirigere la patria verso una strada di vuoto benessere, di consumo ed economia, dimenticando l’aspetto fondamentale del patriottismo: l’amore per la Patria.

Patria, la terra dei padri, alla quale bisognerebbe dedicare un’intera vita di sacrifici e, se necessario, una fulminea onorevole morte.

Ma tutto questo ha perso ogni senso nell’epoca moderna: i valori in voga sono la comprensione, la carità, la tolleranza, il politicamente corretto, l’opportunismo, l’individualismo. Dove sono finiti l’onore, la fede, la dedizione, la fedeltà, la coerenza, la disciplina, la perseveranza.

«Noi ora testimonieremo a tutti voi l’esistenza di un valore più alto del rispetto per la vita. Questo valore non è la libertà, non è la democrazia. È il Giappone. Il Paese della nostra amata storia, delle nostre tradizioni: il Giappone». Sono le ultime parole di Yukio Mishima, pronunciate poco prima di praticare il seppuku, il tradizionale rituale di suicidio Samurai.

In queste parole è rivelata la sintesi del nazionalismo, il fedele amore per la Nazione, nel momento di minor tensione come in quello più tragico, nella felicità come nello sconforto. Non esistono confini né materiali né psicologici per tale sentimento; nemmeno la morte lo può sopprimere, ma spesso ne esalta lo spirito eroico.

È quindi preciso dovere di tutti essere patrioti, così come fare il possibile affinché altri si uniscano alla causa prima che gli atavici valori affondino nell’oblio. La nostra è una battaglia contro il tempo, che con noi non è di certo galantuomo. È questa l’ora di radunare le ultime forze per prepararsi a una resistenza patriottica che, se non vittoriosa, sarà certamente degna e gloriosa.

lunedì 4 maggio 2009

Schiavi Felici




«Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo». Con queste parole Goethe ci comunicava una terribile verità riscontrabile soprattutto nell’epoca moderna.

Il fatto che attualmente i governi delle nazioni occidentali siano di stampo democratico non significa assolutamente che i cittadini di tali stati siano liberi. Tutt’altro, le nostre azioni sono più controllate e i nostri pensieri più plasmati che in qualsiasi altra epoca storica o zona del mondo.

Forti delle innovazioni nel campo della comunicazione di massa, i burattinai dei nostri tempi non solo riescono a esercitare senza molti ostacoli la loro influenza su milioni di persone, ma fanno anche in modo che queste ultime siano convinte di essere pienamente libere di agire secondo la propria volontà.

Queste osservazioni sono una limpida deduzione derivante dall’osservazione del quotidiano influenzamento delle masse.

Per rendere più chiaro il discorso farò alcuni esempi tanto banali quanto efficaci.

Immaginiamo di fermare 100 persone a caso sulla strada di una metropoli europea nell’ora di punta e di chiedere ad ognuno dei soggetti di scrivere un elenco delle 10 canzoni che preferiscono. Al momento di confrontare le liste ci accorgeremmo subito che alcuni titoli tornano più volte; queste canzoni altro non sono che il tormentone del momento, il brano in cima alla top ten della settimana, il ritornello più trasmesso in radio, etc.

È la sfrenata ricerca di conformismo, ma c’è qualcosa di più terribile dietro: uno pensa di ascoltare la musica che vuole e invece sta ascoltando quello che decidono le classifiche di MTV e il pubblico di “Amici”.

Passando ad un altro ambito, si nota di frequente come i media, in particolare telegiornali e quotidiani, facciano emergere le questioni a periodi: c’è la settimana del Tibet oppresso, quella della droga, degli incidenti stradali, delle baby gang, e così via.

Ora prendiamo le 100 persone di prima e domandiamogli quel è, secondo loro, il problema principale della nostra società. Che risposte otterremo? Avremo una risposta quasi unanime in base alla settimana di influenza dei media!

Di esempi ce ne sarebbero molti altri. Fate caso ai dettagli in futuro, vi accorgerete che attaccati ai nostri corpi ci sono milioni di sottilissimi fili che solo chi sa vedere è in grado di spezzare.

La via per la vera libertà parte dalle piccole cose, non dare occasione a nessuno di fare di te un burattino.

lunedì 16 marzo 2009

Lombardia e Veneto

Carte della vera Lombardia e del vero Veneto che ho fatto in base ai legami etnici, storici e linguistici.

LOMBARDIA

Composizione:
- Lombardia ufficiale
- Piemonte orientale (Alessandria, Asti, Vercelli, Novara, Biella, Verbania)
- Canton Ticino
- Ovest Trentino (a ovest del fiume Adige)
- Emilia (Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena).


VENETO

Composizione:
- Veneto ufficiale
- Est Trentino (a est del fiume Adige)
- Friuli - Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Trieste, Udine)
- Istria e Dalmazia
.

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LOMBARDO - VENETO


- Aggiornamento del 12/10/2011 -
Riporto di seguito l'idea di "Lombardia storica" ideata e portata avanti dal movimento Pro Lombardia Indipendenza. Ci sono somiglianze e differenze rispetto a quella da me ideata. Annotazioni:
1) Passa comunque l'idea fondamentale che la Lombardia non corrisponda in toto all'omonima regione.
2) Offre spunto di riflessione e confronto sul tema dei confini di una nazione non ancora riconosciuta.
E' possibile approfondire la cartina a questo link.

lunedì 12 gennaio 2009

Sull' uguaglianza



Uno Stato o una società che si basi sull’uguaglianza è destinata a perire, poiché agisce contro natura. Uguagliare due cose, persone o elementi diversi, infatti, significa appiattire le differenze che esistono tra essi, eliminando quella varietà che è la ricchezza del mondo. Riprendendo l’americano David Lane, uguaglianza significa «far correre un cavallo da soma velocemente quanto uno da corsa» o «fare in modo che un cavallo da corsa sia in grado di tirare con una forza uguale a quella di un cavallo da soma»: nel primo caso bisogna rallentare il cavallo da corsa, nel secondo è necessario indebolire quello da soma. Ma ciò che accade in entrambi i casi è che il punto di forza viene distrutto per fare spazio all’uguaglianza. La medesima situazione si verifica in una società di uomini in cui si impone tale concetto: la distruzione dell’eccellenza.

sabato 6 dicembre 2008

L’uomo moderno ha sovvertito il senso del tempo



Fin dall‘antichità il tempo, il susseguirsi delle stagioni e degli anni, scandiva la vita dell’uomo. Oggi l’umanità sembra non averne più bisogno: spesso anzi lo spreca, lo considera come nemico, o talvolta non ne comprende l’importanza. Ne ha perciò una visione fortemente distorta.

Prima di rinnegare il tempo, l’uomo viveva in tre dimensioni temporali complementari, distinte e indispensabili: passato, presente e futuro.

Dal passato si traevano gli esempi, i modelli, i valori, le tradizioni e lo stile di vita: perché tutto ciò che abbiamo e viviamo nel presente lo dobbiamo a chi, prima di noi, l’ha ottenuto. Il presente è il vivere attuale, che è fonte di piacere e soddisfazioni, ma non deve diventare fine a se stesso; è l’anello di congiunzione tra passato e futuro, ciò che permette alla storia e all’umanità di proseguire. Tutto in previsione e in vista del futuro, che può essere definito il fine ultimo della vita.

Invece la degenerazione del mondo moderno sovverte queste leggi, più dettate dalla natura che dall’arbitrarietà dell’uomo, e altera l’equilibrio che esiste tra le tre dimensioni.

Il motto più in voga in questi tempi è “the future is now”, il futuro è ora. Ma se il futuro è adesso, significa che non esiste un domani, e non esisterà veramente se gli uomini continueranno ad applicare questa malata filosofia.

Tale stile di vita ha poi trovato terreno fertile nel materialismo: l’uomo è infatti attratto dal “vivere il momento”, godersi il presente senza fare calcoli sul futuro. La chiamano vita, quella presente, ma non è che un terzo di essa, poiché la vita è il risultato delle tre dimensioni temporali.

E’ quindi arroganza essere certi che sia sufficiente il presente, limitatezza ritenere che non valga la pena di conoscere il passato, irresponsabilità non considerare il futuro.

Solo tornando a esaminare a fondo la questione, l’uomo potrà trovare il vero senso della vita: scoprire che siamo sì infinitamente piccoli nell’universo, ma anche estremamente preziosi in questo mondo in quanto anello di congiunzione tra passato e futuro.

sabato 4 ottobre 2008

Modern Europe vs Ancient Europe

A short video that I made:

Differences beetween Modern and Ancient Europe *



* Censurato due volte nonostante la trasparenza del video.

mercoledì 27 agosto 2008

Odiare per amare



Qual è lo scopo della vita? È fondamentalmente la realizzazione di sé stessi. E il modo migliore per farlo sta nella combinazione tra amore e odio, che nell’uomo superiore tende sempre verso il perfetto bilanciamento.

Il primo spunto di bilanciamento ci viene offerto dalla Natura, che ci insegna a odiare ciò che è alieno e nemico, o rappresenta una minaccia; mentre per istinto ci fa amare ciò che è più vicino a noi, al nostro modo di essere, vivere e pensare.

Per semplificare ho individuato tre principali tipi di odio.

Il primo tipo è l’odio che ha il solo fine di danneggiare, distruggere e di infondere altro odio. È l’odio malvagio e insensato, tendente al caos e creato dal caos. L’odio che contraddistingue gli esseri inferiori, subdoli e nemmeno paragonabili alle bestie.
Ed è ugualmente inferiore l’odio in nome della prepotenza a danno del più debole e indifeso, preso di mira solamente in quanto tale.

L’odio può essere anche dettato dall’ira. E questo bene o male tocca tutti. Tuttavia mentre il saggio lo sa generalmente tenere a bada, imponendo il suo autocontrollo, quello d’animo più debole si fa spesso sopraffare dalla collera, guidata da un odio casuale e irrazionale, di durata temporanea estremamente limitata ma che in pochi istanti è in grado sprigionare una concentrazione di forza immensa, spesso distruttrice e negativa.

Infine c’è l’odio positivo. Quello che, giustamente calibrato, permette la realizzazione dell’uomo. Ciò che lo contraddistingue è la razionalità e la coerenza. Un odio mirato, definito da David Lane come “puro e perfetto”.

L’amore è un sentimento opposto all’odio, e in quanto tale deve essere coerentemente indirizzato verso l’opposto di ciò che odiamo. Questo è quello che fa l’uomo di nobile spirito ed è questo che lo porta a raggiungere un Amore che altri non possono neppure immaginare. Ad esempio l’amore verso la propria sfera di appartenenza (famiglia, stirpe, nazione, comunità) può essere puro se, e solo se, sostenuto da un altrettanto forte odio verso il nemico della famiglia, stirpe, comunità o nazione.

Gli appartenenti alla prima categoria, quella dell’odio malvagio, non provano nessun tipo di amore, fatta eccezione per l’”amore” verso il caos, termine che necessita di virgolette perché è più propriamente definibile come ”soddisfazione diabolica e perversa”.

È invece proprio del debole e dell’insicuro l’amore incondizionato verso chiunque, tendenza tipica di ambienti quale il cristianesimo. L’amore incondizionato è ciò che di più pericoloso esista, senza contare che, in mancanza di un corretto bilanciamento amore-odio, il sentimento provato non raggiunge nemmeno lontanamente l’Amore dell’uomo d’animo superiore.

Quindi anche qui il termine amore è puramente convenzionale, si tratta in realtà di una “ricerca di pietà” che maschera spesso una debolezza interiore ed è promossa e burattinata dai servi del caos. Viene di fatto promessa una ricompensa nell’aldilà in cambio della completa rassegnazione alla droga di un amore sbiadito e dell’abbandono delle proprie difese contro i nemici di questa vita.

Quello detto fin ora si può riassumere in una sola frase: Solo chi sa perfettamente e razionalmente odiare può amare veramente.

lunedì 16 giugno 2008

Riflessioni sulla democrazia



La democrazia (dal greco dêmos “popolo” e “kratía” governo”) come concetto in sè è ciò a cui aspira l’uomo che cerca la libertà. Concettualmente, però. Perché noi ci troviamo a fare i conti con la realtà, e in questa l’uomo non è in grado di creare una “società democratica” che funzioni e sia in grado di offrire veramente la possibilità a tutti di governare.

Come giustamente diceva Platone, la democrazia è la degenerazione dell’aristocrazia e, aggiungo io, la democrazia degenera inevitabilmente in anarchia. Anarchia significa caos e, non essendoci ordine, non c’è più nemmeno la possibilità di garantire una convivenza civile tra gli individui della comunità, in modo tale che si possa applicare il concetto stesso di democrazia.

Praticamente la democrazia è irrealizzabile, un utopia e addirittura un paradosso.

Basti pensare a un nucleo di persone ridotto, ad esempio una famiglia, e ad esso applicare il concetto di democrazia, cioè dare la possibilità ad ogni membro della famiglia di decidere. Poniamo che sia una famiglia composta dai due genitori e quattro figli. La democrazia diretta prevede che ogni questione vada discussa da tutti e che tutti abbiano la possibilità di votare e influire quindi sulle decisioni comuni. Ora provate a pensare cosa accadrebbe: i figli, avendo interessi comuni, si accorderebbero e grazie alla legge della maggioranza avrebbero pieno controllo sulle decisioni di famiglia. Ma i figli sanno veramente cosa è bene per loro? In molti casi no. E’ per questo che esiste una gerarchia, un ordine: per questo chi prende le decisioni più importanti lo fa anche se non ha il consenso della maggioranza.

Ora pensate allo stesso fenomeno su una scala più vasta, poniamo una città di medie dimensioni da 200 mila abitanti. La democrazia diretta non è più possibile, allora ecco fare la sua comparsa la democrazia rappresentativa. Ogni cittadino elegge un proprio rappresentante con idee o interessi vicini ai suoi; a loro volta chi è stato eletto prende democraticamente le decisioni con gli altri eletti. Ma facendo un passo indietro, è giusto che tutti i cittadini scelgano? Nel primo esempio è appurato che i figli che non sono in grado di prendere la decisione corretta, per mancanza di esperienza o perché deviati dai loro interessi personali. Ipotizzando che il 60% dei cittadini, esattamente come i quattro figli, non sappia cosa è giusto decidere per uno dei due motivi citati; questi sceglieranno l’uomo sbagliato, che, dopo essere stato eletto, a sua volta non farà il bene della comunità e della città, ma porterà disordine e corruzione.

Esistono quindi persone in grado di comprendere i problemi e scegliere chi può davvero governare la comunità, garantire serenità e convivenza pacifica tra i cittadini, e chi non lo sa fare. Ma la democrazia non parte da questo presupposto, si fonda sull’errato concetto che gli uomini siano tutti uguali e in grado di distinguere il bene dal male, appunto, di scegliere.

La democrazia è anche l’ambiente in cui proliferano con maggiore facilità i parassiti sociali. I corrotti e gli inetti sono protetti dalla massa, lo Stato è debole e, se vuole rimanere in piedi come istituzione, deve avere anche l’appoggio di quei cittadini parassiti, che in certi casi sono la maggioranza. In seguito questi fastidiosi insetti si infiltrano persino all’interno dello Stato e si crea un sistema marcio e corrotto che ha il suo cervello nello Stato. I politici entrano a far parte di una casta intoccabile.
Infine, per dominare chi non è conforme a questo sistema, bisogna passare alla repressione e, oltre alla classe dei politici, si viene a creare quella dei servi, gli esecutori del volere del cervello.

La democrazia, da forma di governo per il popolo e del popolo come da definizione, diventa un governo sul popolo, il mezzo più facile a disposizione dei detentori del potere per piegare le masse al proprio volere e sottomettere chi crede ingenuamente di essere libero.

Quali sono allora le alternative alla democrazia?

una è l’aristocrazia (dal greco άριστος "Nobile" e κράτος "Potere"), forma di governo in cui solamente i migliori si alternano al governo dello Stato; un’altra possibilità è la dittatura, che in alcune sue forme può essere considerata una forma estrema di aristocrazia.
Nel governo aristocratico non vota chiunque indiscriminatamente, ma solo chi ha una cultura, un modo di porsi e di pensare adatti a comprendere cosa è giusto per lo Stato. Non vota chi è straniero alla società ma solo chi vi appartiene per nascita.
Chi governa è al servizio dello Stato, dei cittadini e della patria. Mentre in democrazia, di fatto, avviene il contrario.

sabato 3 maggio 2008

Il mio pensiero politico

-Difesa della stirpe

Il sangue è al centro della mia concezione politica: esso ci viene trasmesso da generazioni e noi abbiamo il sacro dovere di conservarlo e di tramandarlo ai nostri figli. Venire meno a questo compito sarebbe un affronto verso i nostri Avi e chi si macchia di questo crimine (tale puo essere definito) deve essere disconosciuto e cacciato dalla comunità.
Tutto si deve basare sul sangue: c'è chi divide il mondo per religioni, chi lo divide per classi sociali, chi per correnti di pensiero... io lo divido per sfere etniche. Razzismo non è una parolaccia: significa riconoscere che esistano razze diverse all'interno del genere Homo, che, essendo tali, hanno diversi valori.
Il legame sangue-suolo è fondamentale: nessun allogeno deve avere il diritto di vivere sul suolo europeo e usufruire (meglio ancora parassitare) della civiltà che gli autoctoni hanno costruito in secoli di storia, e, comunque, non sullo stesso piano di questi ultimi.
Questo non vuol dire, per esempio, escludere a priori un francese da una comunità tedesca; significa che un francese può vivere in una comunità tedesca se adegua il suo pensiero, la sua lingua e i suoi costumi a quelli tedeschi, e se il fenomeno migratorio resta numericamente limitato.

-Comunitarismo

Il mio ideale di società la comunità. Sono contro ogni forma di universalismo come sono contro l'individualismo. L'uomo è un "animale sociale", e come tale deve vivere pacificamente in società con i suoi simili senza che le azioni di uno urtino la sopravvivenza dell'altro. Nel contempo però la comunità deve contenere un numero ristretto di persone e deve essere composta esclusivamente da persone etnicamente, culturalmente e linguisticamente compatibili. Il diritto romano dello "ius soli" dev'essere sostituito da quello germanico dello "ius sanguinis", da diritto di suolo a diritto di sangue.
Rifiuto il concetto di urbanizzazione sfrenata: le migliori qualità dell'uomo emergono nella società contadina e nel suo mondo incontaminato. L'urbanizzazione, conseguenza diretta dell'industrializzazione, conduce ad una società corrotta e degenerata, in cui l'uomo perde le sue caratteristiche e le sue particolarità per trasformarsi in un numero.

-Autodeterminazione

Ogni comunità deve avere il diritto di autodeterminarsi, rimanendo tuttavia in un contesto di unità. Un modello a cui faccio riferimento è l'impero, in particolare, per quanto riguarda l'Europa, l'impero Asburgico, ultima istituzione che è stata in grado di unire più realtà sotto uno stesso orgoglio europeo. Sono contrario all'idea di stato nazionale nata dopo la dissoluzione degli imperi e affermatasi con la rivoluzione francese.
Ogni comunità deve avere la facoltà di parlare la propria lingua e conservare cultura, storia e tradizioni senza che gli venga imposta un'identità che non le appartiene.

-Europa Etnonazionale

Credo che i veri confini dell'Europa siano da ridisegnare in base ai confini etnici e non quelli imposti dopo la creazione degli stati nazionali.
Stati come la Francia e l'Italia andrebbero smontati e i loro confini ridisegnati, poichè frutto non di un'unione etnica ma di un'unificazione forzata.

-Socialismo nazionale

La povertà e la disgregazione sociale nascono nel momento in cui il capitale diventa l’obbiettivo principale dell’uomo;
l’assenza di proprietà, invece, degenera spesso in inerzia e disinteresse verso la cosa pubblica. Tra i due poli estremi del comunismo e del capitalismo è possibile trovare una mediazione: il socialismo. Il socialismo non nega la proprietà privata e nel contempo garantisce uguali diritti ai membri della comunità per vivere dignitosamente. L’aggettivo “nazionale” sta a indicare che il diritto di influire sull'andamento della comunità spetta solo a chi appartiene per diritto di Sangue alla comunità stessa.

-Econazionalismo

L’uomo deve vivere a stretto contatto con l’ambiente in un rapporto di rispetto reciproco, non deve prevaricare i diritti della natura, violarne le leggi o sfruttare l’ambiente come purtroppo sta avvenendo. Le diversità del paesaggio vanno rispettate ed è l'uomo che, nel costruire, si deve adeguare all'ambiente, e non viceversa. Questo significa econazionalismo.


* Il post porta la data del maggio 2008, per cui potrebbe non rispecchiare al cento per cento il mio pensiero attuale. "Solo gli stupidi non cambiano mai idea, solo i traditori cambiano bandiera".

venerdì 25 aprile 2008

25 APRLE

Hobbit - Lady U$A


mercoledì 23 aprile 2008

23 APRILE

San Giorgio - Patrono Lombardo

martedì 15 aprile 2008

ELEZIONI 2008. IL MIO PUNTO DI VISTA

ELEZIONI POLITICHE (STATALI)

Premesso che Veltroni e Berlusconi sono uguali (Veltrusconi ndr), sono contento che abbia vinto il centro dx. Sapete perchè? Per dimostrare che l'uno e l'altro sono uguali.

Adesso tutti parlano della Lega, ecco i motivi per cui secondo me la lega ha ottenuto un risultato cosi alto:

- Gli elettori di AN si sono spostati sulla lega non vedendo di buon occhio il pdl
- E' stata fatta una campagna elettorale martellante sull'immigrazione (in campagna elettorale nessuno se li ricorda i 700.000 extracomunitari regolarizzati dalla bossi-fini?)
- Campagna anti-prodi, hanno ricordato che hanno fatto grande opposizione a Prodi (eh si, hanno votato anche per il Ponte sullo Stretto pur di far dispetto al mortadella..)
- Veltroni ha continuato a parlare (male, ma ne ha comunque parlato) della lega negli ultimi giorni di campagna elettorale
- Dulcis in fundo la sparata dei fucili di bozzi a pochi giorni dal voto

Ecco il quadretto completo, un risultato del genere c'era da aspettarselo.
Per il resto ha vinto il piduismo. Due partiti grandi e tanta tanta plutocrazia.

In Senato il Fronte ha preso 5000 voti, c'è però da sottolineare che abbiamo usato una miseria per la campagna elettorale, giusto per qualche manifesto (altro che i fior di milioni di Arcore).


ELEZIONI COMUNALI - BRESCIA

A Brescia sembra stia vincendo Paroli. Anche qui bene, così dimostriamo alla gente che dx e sx non cambia niente. Prima su Teletutto c'era Castellini (FN) al 0,40%... un peccato, perchè Forza Nuova era l'unico partito a queste elezioni comunali che andava oltre il solito programma uguale in tutti i partiti: "piu vigili, piu telecamere, brescia piu sicura, piu bella, piu solidale, bla bla bla..". FN chiedeva BRESCIA AI BRESCIANI. Ma i Bresciani sono troppo masochisti, e vanno a votare quel democristiano di Paroli, quel parolaio di Del Bono, vanno a votare allogeni che di Bresciano ha solo la targa dell'auto.


Va beh che il nostro è un popolo stupido si sapeva. Spero soloche la gente capisca che


DESTRA E SINISTRA SONO UGUALI

unica via
Autogoverno e Indipendenza!

lunedì 7 aprile 2008

MA NON SI VERGOGNANO???!!

Riporto 2 video di 2 schieramenti che tra una settimana la maggior parte degli italioti andrà a votare.


1 - Meno male che silvio c'è




2 - I'm PD



NO COMMENT