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mercoledì 5 settembre 2012

L'orgoglio di Dracula

Dracula, senza dubbio l’opera più celebre dell’irlandese Bram Stocker, non è solamente il romanzo che ha plasmato il modello del vampiro per eccellenza nella letteratura dal XIX secolo ai giorni nostri; alcuni passi, piccoli dettagli e racconti nel racconto, offrono parecchi spunti riflessivi di vario genere. Mi soffermerò a indagare i personaggi alla luce delle loro qualità etniche, culturali o nazionali.

La vicenda si svolge quasi interamente nella Londra di fine ‘800, pertanto londinesi sono quasi tutti i protagonisti; da questi si discosta il dottor Van Helsing, un olandese, che incarna la conoscenza e la cultura che solo una città portuale e fiorente come l’Amsterdam del tempo potrebbe conferirgli. Il secondo non-inglese è il Texano Quincey P. Morris, abile cacciatore e coraggioso uomo d’azione, elogiato proprio da un inglese con parole eloquenti e profetiche: «Se l'America continuerà a produrre uomini così, diventerà davvero una potenza mondiale!»

Con la comparsa di un ferreo capitano di nave scozzese e di un timoniere russo che, rimasto l’unico sopravvissuto della ciurma, muore eroicamente legandosi al timone e compiendo il suo dovere fino all’ultimo respiro, finisce la rassegna sull’Europa occidentale.

Una buona parte del racconto si svolge però in quella che è grossomodo l’attuale Romania. Qui, durante un viaggio che si snoda dalla costa del Mar Nero fino alle vette dei Carpazi, gli inglesi osservano la popolazione locale, composta da valacchi e transilvani: la descrivono come accogliente, lavoratrice e parecchio superstiziosa. Diversa è l’aura che l’autore conferisce agli tzigani, zingari mercenari e irriconoscenti, che arrivano addirittura a tramare contro il popolo presso cui vivono e a mettere a repentaglio la sicurezza dell’intera umanità.

Ma c’è un personaggio in particolare – colui che dà il titolo all’opera stessa – che, in un dialogo con l’ospite inglese che intrattiene nelle sale del suo imponente castello, si immerge in un excursus storico sulla sua stirpe gloriosa. Senza nascondere sin dall’inizio l’orgoglio che prova, il fittizio conte Dracula – ispirato in realtà al personaggio storico Vlad III di Valacchia, meglio noto come Vlad Țepeș, «l'Impalatore» – ripercorre le lunghe tappe della sua nobile discendenza. Con queste parole ardenti il conte ci lascia l’esempio di un orgoglio atavico indissolubile, frammisto a nostalgia ma privo di rassegnazione, inserito in quell’atmosfera di epoche scomparse che Stoker ha il merito di farci rivivere con infinita passione.


"Noi Szekely abbiamo il diritto di essere orgogliosi, perché nelle nostre vene scorre il sangue di molte razze valorose che hanno combattuto come leoni per il predominio. Qui, nel vortice delle razze europee, la tribù degli Ugri ha portato dall'Islanda lo spirito guerresco di Thor e di Odino, e lo spirito che i loro Bersekir hanno dimostrato con furia selvaggia non solo sulle coste d’Europa, ma anche dell'Asia e dell'Africa, tanto che i popoli si sono convinti che fossero giunti i lupi mannari stessi. Quando arrivarono qui, trovarono gli Unni, la cui furia marziale era dilagata sulla terra come una fiamma vivente, finché i popoli moribondi si convinsero che nelle loro vene scorreva il sangue delle antiche streghe che, espulse dalla Scizia, si erano accoppiate con i demoni del deserto. Folli, folli! Quale demone o quale strega fu mai grande come Attila, il cui sangue scorre in queste mie vene? – e ha alzato le braccia.

Meraviglia forse che fossimo una stirpe conquistatrice, che fossimo fieri; che quando i Magiari, i Longobardi, gli Avari, i Bulgari o i Turchi si riversavano a migliaia sulle nostre frontiere, noi li respingessimo? È forse strano che quando Arpad e le sue legioni seminarono distruzione nella patria ungherese, trovassero noi ad attenderli alle frontiere; strano che l'Honfoglalas si fermasse lì? E quando la marea ungara dilagò verso est, i Magiari vittoriosi proclamarono la loro parentela con gli Szekely, affidando a loro la protezione del confine con la terra dei Turchi nei secoli e oltre, poiché, come affermano i Turchi stessi: «l'acqua dorme ma il nemico veglia».

Delle Quattro Nazioni chi ha ricevuto con maggiore orgoglio la «spada insanguinata», e chi è accorso con maggiore prontezza sotto lo stendardo del Re al grido di battaglia, quando è stato vendicato il grande disonore alla mia nazione, la vergogna del Kosovo: quando i vessilli dei Valacchi e dei Magiari sono stati ammainati davanti a quello della Mezzaluna? Chi se non uno della mia stirpe, in qualità di Voivoda, ha attraversato il Danubio e sconfitto i Turchi sul loro stesso suolo? Un Dracula, naturalmente! Gran calamità fu che il suo indegno fratello, caduto il Voivoda, abbia venduto il suo popolo ai Turchi trascinando su di loro l’infamia della schiavitù!

Non è stato questo Dracula a ispirare quell'altro della sua stirpe che, in epoca successiva, più e più volte guidò le sue forze di là dal Grande Fiume, nella terra dei Turchi. Quello che, sconfitto, tornò ancora e ancora e ancora, a costo di attraversare da solo il campo di battaglia su cui giacevano insanguinate le sue truppe, sapendo che soltanto lui avrebbe infine potuto trionfare! Dissero che pensava solo a sé. Bah! A che valgono i contadini senza un capo? Dove finirebbe una guerra senza un cervello e un cuore a condurla?

E ancora, quando dopo la battaglia di Mohács abbiamo rovesciato il giogo ungherese, noi del sangue dei Dracula eravamo tra i condottieri, perché il nostro spirito non poteva tollerare la mancanza di libertà. Ah, giovane signore, gli Szekely - e i Dracula quale cuore, sangue, cervello e spada di quella stirpe - possono vantare successi che quelle muffe di nome Asburgo e Romanoff non possono neppure sognare! I giorni guerreschi sono finiti. Il sangue è una cosa troppo preziosa in questi tempi di pace disonorevole; e delle glorie delle grandi razze non restano che i racconti."