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martedì 20 settembre 2011

L’ultimo respiro

Il mondo, o almeno quello che conosciamo, è agli sgoccioli. Basta aprire un quotidiano qualsiasi per rendersene conto. Le parole in cui si inciampa più di frequente sono: crisi, allarme, rincaro, protesta, caos, attentato, mafia, degrado, omicidio, gambizzato, tagli, declassato… E non occorre andare oltre. Al di là dell’allarmismo da telegiornale e della predilezione dei giornalisti per la cronaca giallo-nera, il periodo che stiamo vivendo è una vera catastrofe su tutti i fronti.
I piccoli comuni, le piccole associazioni, i piccoli commercianti: insomma, i pesci piccoli stanno finendo l’ossigeno e stramazzano su un fondo liquamoso sperando in un miracolo dal cielo. Non se la passano meglio i governi, soffocati da una finanza internazionale che crea voragini, compra, riduce, plasma e distrugge intere economie a proprio piacimento e interesse. Siamo condannati a subire passivamente il dominio di forze che non possiamo né controllare né conoscere: e a poco serve il teatrino degli scioperi e delle proteste contro i sicari del sistema, quando sul nostro collo pende una corda di cui non conosciamo neppure il mandante. A chi indirizzeremo la nostra domanda di grazia? Nessuno ci ascolta.
L’ambiente si sta deteriorando minuto per minuto; inquinamento e devastazione del territorio sono solo una piccola conseguenza di ciò che vuol dire una popolazione progredita di sei miliardi di esseri antropomorfi. Sei miliardi: una cifra da capogiro, che basterebbe da sola a dimostrare l’impossibilità del pianeta Terra a rimanere in piedi, una volta che anche il secondo e il terzo mondo raggiungeranno gli standard consumisti del primo. Ma anche qui, nessuno sembra farci caso.
La società poi, vista in un contesto più circoscritto, è una vera e propria pattumiera umana. Le generazioni, con il passare degli anni, divengono sempre più inermi e rassegnate: passano da una tecnologia all’altra in pochi mesi e non sentono più il bisogno di avere un’anima o un motivo per vivere. Ammazzano il tempo (la vita) nelle discoteche, sulle provinciali puntellate da transgender, nelle sporche vie di periferia cosparse di siringhe e sigarette. La vita è ormai nell’aperitivo del sabato pomeriggio, nella sbronza del venerdì sera. Niente di più. Nessun sentimento che vada oltre il mero istinto sessuale, nessun interessamento alla cultura, alla politica o alla conoscenza di sé. E’ la gioventù del nulla. Annichilimento passivo, tv, creme depilatorie, videogiochi, divertimento… il nulla. Ogni differenza si acquatta verso l’appiattimento più totale; ogni guizzo di autostima, orgoglio, ribellione è soffocato lentamente dal pallido grigiore delle masse, dalle malinconiche luci rosse di un night club, dalle ceneri nere sbuffate con malavoglia fuori da fiacchi polmoni tumorati.
Tra l’inconsapevolezza più totale, nel menefreghismo diffuso e l’indifferenza standardizzata, stiamo annaspando ingozzandoci delle ultime sacche di ossigeno rimaste. Nessuna disperazione, niente urla e gemiti o clima apocalittico da fine del mondo: andiamo verso la morte quasi per caso, come un agnellino sprofonda d’un tratto tra le lame di un mattatoio. Siamo la generazione del nulla e vi ci sprofondiamo senza saperne nulla.
Però mi piace pensare che si possa finire con dignità anche combattendo nel fango. Mi hanno sempre affascinato le storie dei grandi eroi che trapassavano con la spada in mano, consapevoli, felici. Ho sempre guardato con stupore i Kamikaze giapponesi del Novecento, frecce infiammate d’ardore anelanti l’oltreuomo. Penso che una fine del genere spetterebbe di diritto a tutti noi: non ci è stato concesso di stabilire come nascere, ma possiamo decidere come morire! Non potremo salvare il mondo, ma possiamo salvare noi stessi.
Una scena che colpisce spesso i visitatori della città di Pompei sono le sagome pietrificate dei soldati posti alla difesa della città. Fermi, immobili dinnanzi all’avvicinarsi di una nube densa di cenere e lapilli, quegli uomini hanno atteso la morte con i piedi piantati nel terreno. Lo sguardo fisso, duro, inflessibile. Anche noi, come quei guerrieri, potremo dimostrare che, tra le eruzioni di un futuro ormai prossimo, saremo in grado di difendere il nostro nome, noi stessi e il nostro onore.
Vivere per morire o morire per vivere: noi la scelta l’abbiamo fatta da tempo.
"Si fractus illabatur orbis, impavidum ferient ruinae." Anche se il mondo attorno a lui cadesse a pezzi, le rovine lo colpirebbero impavido.
Orazio