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martedì 11 gennaio 2011

Il Fiume

- Perché continui a camminare?
- Non posso farne a meno. Puoi pensare a un fiume immobile? A un ponte statico? L’uomo è fatto per attraversare il suo ponte, navigare lungo il suo fiume. Penso che il fiume sia però la metafora più adatta: siamo abituati a pensare al ponte come opera ingegneristica umana, mentre la vita sarebbe troppo complicata per essere architettata da un bipede del nostro genere.
- Quindi questa vita è un fiume?
- Esatto. E’ il fiume che navighiamo se, per volontà nostra, non decidiamo di affogarci prima.
- Spiegami, ti ascolto.
- Tutti noi nasciamo nel più profondo entroterra, in una foresta che riecheggia di primitivo, caratteristica che, concorderai con me, è imprescindibile nel neonato.
- Non vedo come disapprovare.
- Dunque, dal sottobosco di questa foresta oscura sgorga un rigagnolo: il tuffo in questo rigagnolo è il nostro impatto con la vita terrena. E’ l’inizio del viaggio, il ruscello che diventerà oceano.
- Capisco.
- Impariamo presto a nuotare, o meglio, siamo costretti a farlo. La situazione ci impone di nuotare o tornare indietro: respiriamo per non sprofondare negli abissi. La portata del fiume cresce con noi e non aspetta mai nessuno, chi non sta al passo troverà correnti più forti di lui. Non dobbiamo mai pensare che la vita sia benevola: la natura che ci ha messi al mondo non è buona né malvagia, ma indifferente. Non vede i sentimenti, non si fa trascinare dalle emozioni, non prova compassione: fa solamente rispettare le regole del gioco.
- Così la vita sarebbe un gioco?
- Sarebbe più esatto dire che il gioco è una sorta di vita. Non trovi? Tornando alla nostra metafora iniziale, dicevo che il fiume rappresenta al meglio la vita umana. Infatti non segue un unico percorso preciso e neppure c’è un punto di arrivo predestinato: un’infinità di affluenti ed effluenti, laghi e canali rendono ogni percorso unico e lasciano la possibilità al pellegrino – così chiamo l’uomo – di scegliere la sua strada. Egli deve inoltre provvedere al suo mezzo d’imbarcazione, che rovescerà e riparerà, perderà e riconquisterà, imparando dai propri errori e facendo tesoro dei suoi successi.
- La metafora calza a pennello. Tuttavia sento che manca qualcosa…
- Troppo presto vuoi sapere, allievo, come reagiranno tra loro i pellegrini. Forse la nostra stessa metafora sarebbe troppo riduttiva e inefficace al riguardo, poiché ricorda, come il gioco, anche un fiume non è altro che una piccola vita nella vita. Quello che ti ho appena ho mostrato è il percorso verticale dell’uomo, compiuto dall’anima accompagnata dal corpo. Quello del corpo accompagnato dallo spirito – il percorso orizzontale – avremo sicuramente modo di approfondirlo più avanti.
- E allora cosa accade quando ha termine il viaggio?
- Le anime, a contatto con l’acqua salata, si scindono dal corpo e si uniscono tra loro. Cosa ci sia nel fondale marino non me lo chiedere, poiché a chi sta ancora compiendo il viaggio della vita è concesso di vederne soltanto la superficie. Ascolta i miei consigli piuttosto.
- Lo farò.
- Conduci la tua navigazione con serenità e consapevolezza, timone saldo e forti remi. Non permettere mai alle inerti paludi di ancorarti, tra la ruggine, al fango della rassegnazione. Non farti trascinare dai i venti della paura ma imponi tu stesso la rotta. Fa’ in modo di essere pronto per la nuova vita quando ti tufferai nell’oceano.

Ispirazioni: Platone (Dialoghi); F. Nietzsche (“Così parlò Zarathustra”)

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