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lunedì 16 giugno 2008

Riflessioni sulla democrazia



La democrazia (dal greco dêmos “popolo” e “kratía” governo”) come concetto in sè è ciò a cui aspira l’uomo che cerca la libertà. Concettualmente, però. Perché noi ci troviamo a fare i conti con la realtà, e in questa l’uomo non è in grado di creare una “società democratica” che funzioni e sia in grado di offrire veramente la possibilità a tutti di governare.

Come giustamente diceva Platone, la democrazia è la degenerazione dell’aristocrazia e, aggiungo io, la democrazia degenera inevitabilmente in anarchia. Anarchia significa caos e, non essendoci ordine, non c’è più nemmeno la possibilità di garantire una convivenza civile tra gli individui della comunità, in modo tale che si possa applicare il concetto stesso di democrazia.

Praticamente la democrazia è irrealizzabile, un utopia e addirittura un paradosso.

Basti pensare a un nucleo di persone ridotto, ad esempio una famiglia, e ad esso applicare il concetto di democrazia, cioè dare la possibilità ad ogni membro della famiglia di decidere. Poniamo che sia una famiglia composta dai due genitori e quattro figli. La democrazia diretta prevede che ogni questione vada discussa da tutti e che tutti abbiano la possibilità di votare e influire quindi sulle decisioni comuni. Ora provate a pensare cosa accadrebbe: i figli, avendo interessi comuni, si accorderebbero e grazie alla legge della maggioranza avrebbero pieno controllo sulle decisioni di famiglia. Ma i figli sanno veramente cosa è bene per loro? In molti casi no. E’ per questo che esiste una gerarchia, un ordine: per questo chi prende le decisioni più importanti lo fa anche se non ha il consenso della maggioranza.

Ora pensate allo stesso fenomeno su una scala più vasta, poniamo una città di medie dimensioni da 200 mila abitanti. La democrazia diretta non è più possibile, allora ecco fare la sua comparsa la democrazia rappresentativa. Ogni cittadino elegge un proprio rappresentante con idee o interessi vicini ai suoi; a loro volta chi è stato eletto prende democraticamente le decisioni con gli altri eletti. Ma facendo un passo indietro, è giusto che tutti i cittadini scelgano? Nel primo esempio è appurato che i figli che non sono in grado di prendere la decisione corretta, per mancanza di esperienza o perché deviati dai loro interessi personali. Ipotizzando che il 60% dei cittadini, esattamente come i quattro figli, non sappia cosa è giusto decidere per uno dei due motivi citati; questi sceglieranno l’uomo sbagliato, che, dopo essere stato eletto, a sua volta non farà il bene della comunità e della città, ma porterà disordine e corruzione.

Esistono quindi persone in grado di comprendere i problemi e scegliere chi può davvero governare la comunità, garantire serenità e convivenza pacifica tra i cittadini, e chi non lo sa fare. Ma la democrazia non parte da questo presupposto, si fonda sull’errato concetto che gli uomini siano tutti uguali e in grado di distinguere il bene dal male, appunto, di scegliere.

La democrazia è anche l’ambiente in cui proliferano con maggiore facilità i parassiti sociali. I corrotti e gli inetti sono protetti dalla massa, lo Stato è debole e, se vuole rimanere in piedi come istituzione, deve avere anche l’appoggio di quei cittadini parassiti, che in certi casi sono la maggioranza. In seguito questi fastidiosi insetti si infiltrano persino all’interno dello Stato e si crea un sistema marcio e corrotto che ha il suo cervello nello Stato. I politici entrano a far parte di una casta intoccabile.
Infine, per dominare chi non è conforme a questo sistema, bisogna passare alla repressione e, oltre alla classe dei politici, si viene a creare quella dei servi, gli esecutori del volere del cervello.

La democrazia, da forma di governo per il popolo e del popolo come da definizione, diventa un governo sul popolo, il mezzo più facile a disposizione dei detentori del potere per piegare le masse al proprio volere e sottomettere chi crede ingenuamente di essere libero.

Quali sono allora le alternative alla democrazia?

una è l’aristocrazia (dal greco άριστος "Nobile" e κράτος "Potere"), forma di governo in cui solamente i migliori si alternano al governo dello Stato; un’altra possibilità è la dittatura, che in alcune sue forme può essere considerata una forma estrema di aristocrazia.
Nel governo aristocratico non vota chiunque indiscriminatamente, ma solo chi ha una cultura, un modo di porsi e di pensare adatti a comprendere cosa è giusto per lo Stato. Non vota chi è straniero alla società ma solo chi vi appartiene per nascita.
Chi governa è al servizio dello Stato, dei cittadini e della patria. Mentre in democrazia, di fatto, avviene il contrario.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ti stai esercitando col saggio breve/articolo di opinione?:) Non ti è bastato il quattro dell'altra volta?!:)

Se mi posso permettere, c'è un passaggio della tua trattazione che mi lascia un po' perplesso, ovvero quando dici:

"...la dittatura, che può comunque essere considerata una forma estrema di aristocrazia..."

Secondo questo criterio, infatti, saremmo corstretti a considerare anche l'URSS come una forma di organizzazione politica aristocratica. Non pensi invece che in questo caso si debba parlare di "sovversione oragnizzata", ovvero esattamente l'opposto della visione aristocratica dello Stato?

Marco

Doge ha detto...

Tranquillo questo resta qui sul blog non lo porto a scuola :D

Hai ragione, andrebbe specificato che solo alcuni tipi di dittatura sono l'estremizzazione dell'aristocrazia.

Aristocrazia significa governo dei migliori, dittatura significa governo del migliore. Il mio ragionamento era in linea teorica, poi come hai sottolineato esistono dittature che non si adattano a questa definizione.

Bisognerebbe analizzare tutti i tipi di dittatura e stabilire quali possono rientrare nella definiziaone e quali no. Purtroppo per questo non sono in grado.

Grazie del commento.

Anonimo ha detto...

La dittatura di per sé ha poco di aristocratico, in quanto inevitabilmente accompagnata dalla "statolatria". Certo, non tutti i regimi dittatoriali sono uguali, infatti la differenza tra una dittatura e l'altra, a mio avviso, la fa l'orientamento di fondo della stessa (indipendentemente della sua traduzione pratica), ovvero la volontà di accelerare il declino iniziato con gli immortali principi del 1789, oppure di invertirne il corso.
La dittatura in quanto tale quindi -in ogni caso- non può essere considerata positivamente, ma acquista significato solo se si configura come momento transitorio, come tappa verso qualcosa di migliore, qualcosa che- per fare un esempio a noi noto- abbia le stesse caratteristiche del nostro glorioso Medioevo.

Grazie a te per l'ospitalità!

Marco

MISTERMIRONE ha detto...

UN GANDE POST. VERAMENTE COMPLIMENTI.

MM

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie