Al culmine della salita, il paesaggio diviene allo stesso tempo maestoso e reverenziale.
Avvolto tra le nuvole basse e fitte, sferzato dal gelido vento, si staglia un colle di un verde acceso e colmo di vita, punteggiato irregolarmente da grandi massi bianchi, quasi calcarei. Due falchi, immobili nel vuoto, tagliano l’aria ad ali spiegate e vigilano su quel monumento della natura.
Tutt’intorno la vista è annebbiata dal vapore, ma rimane spazio per scorgere, ai lati, le due vallate che si adagiano dolcemente sul pendio. Sullo sfondo, appena sopra un sentierino di ciottoli erto e scosceso, una croce in lontananza sembra svelarsi surrealmente tra la foschia. Il maestoso scenario rimane statico, come un affresco. Si protrae per pochi attimi, intensissimi, che prego si trasformino in lunghi giorni.
Poco dopo, svanite le nuvole, riemerge il sole e i falchi planano, attratti da qualcosa più a valle. Ma io ho visto. E non solo, ma continuo a vedere, dentro di me, quello squarcio, che mi chiedo ancora adesso se sia realmente esistito.
Il panorama descritto è il paesaggio di una località valtrumplina: certo del fatto che nessuna pellicola avrebbe mai potuto rendere uno spettacolo simile, ho preferito non mostrarne la fotografia, confidando piuttosto nella scrittura, quel potentissimo mezzo capace di mettere in moto nel lettore le facoltà dell'immaginazione.
Di seguito un sottofondo degno di quegli idilliaci momenti.