L'acqua riversa le sue braccia attorno alla pietra La decadenza gocciola dal vuoto inquieto dove si forma il ghiaccio Dove la vita finisce
La pietra inghiottita dall'alluvione porporea La marea rossa contorta al di là della ferita d’ebano Offro il mio sacrificio di addio in questo fiume di memoria... Un'onda per porre fine a tutti i tempi Uccelli rossi sfuggono dalle mie ferite e ritornano come neve che cade Per spazzare il paesaggio; una tormenta di neve, ali senza corpi La neve, la nevicata amara Desideri morire tra le sue braccia pallide, cristalline Per diventare un inno al silenzio Nell'anima di una montagna di uccelli, caduti La pallida cascata di piume senza spirito La neve è caduta e ha esteso questa montagna bianca Su cui morirai e svanirai nel silenzio
Una dose di depressione con l’IVA del 23%. Bella merda. Per colpa della guerra all’Isola del Giglio mi tocca pagare le accise anche per piangere in cucina. Tempi che corri, uomo che trovi! Quello di oggi si fa rappresentare dal Dimeglio e dagli ormoni in scatola, perché la coda per il Discobolo e il martello di Thor erano troppo lunghe. Il terrestre medio è talmente brutto che sembra un capolavoro d’arte moderna.
Hai presente la scena dei Griffin in cui Peter, Brian, Chris e Stewie vomitano a turno per un minuto? Ecco, quella è l’effige del nostro uomo. Ma arriva un momento nel quale anche il Fantozzi della situazione si stanca di vomitare sciroppo di ipecac su un cane parlante negli spezzoni più beceri di Youtube. E si prende la sua rivincita. Solo che sessanta milioni di tarli muniti di striscioni non fanno nemmeno mezzo Fantozzi incazzato come una bestia.
Mando giù gli ultimi pezzetti di cera e mi infilo lo stoppino nella carotide. È sempre stato il mio sogno fare la torcia umana.
Cosa vuoi fare da grande Pierino? Il calciatore. E tu, Pierino? Il vip, maestra. Il Pierino là in fondo, con la mano alzata? Il cassiere al Burger King. Epaminonda? La torcia umana.
Non ho mai capito perché tutti quei bambini stupidi si chiamassero Pierino, come non so spiegarmi come possano dozzine di camionisti prussiani eludere la frontiera polacca per smerciare carne di Pierino nella Terra di Mezzo. Che poi Bigazzi è finito nei guai per un fottuto gatto: se si scoprisse cosa mangiano i polacchi, oggi la storia la scriverebbero i vinti.
L’accendino, in bilico sull’orlo del tavolo, è uno di quelli che ti danno in omaggio con il mutuo della casa. L’impiegato della filiale, con il solito sorrisino stronzo, fa sempre la battuta delle bombole a gas. E lo sa lei, invece, che mescolando parti uguali di benzina e succo d'arancia congelato si può ottenere il Napalm? Allora, non rideva più, il coglionazzo?
Sfoglio le pagine del Bushido cercando il capitolo sui rettiliani, ma forse sto alludendo al profeta Matteo Montesi. Provo e riprovo a replicare le sue vocine, solo per sentire che effetto fa essere perseguitati da una vocina più grossa che si fa chiamare Dio.
Matteo me devi fà un favore… disciamo… particolare. Vedi, la sbocca del fiume Musò, ecco, quella è piena de frogi... ma nello stesso tempo nun me va de ripulilla. Buccace te dai, poi sce carighi il viduo su iutubbe cuscì lo condivido sulla mia pagina. Grazie mattè, certo, lode e gloria nel più alto dei cieli anche a te. Ciao, ciao... Come? No, nun lo so cus’è un topettignao. Scusa ma ho poghi quattrì, stamme bè ciao.
Basta divagare: se un uomo non è disposto a dare fuoco alla sua laringe, o le sue vocine non valgono nulla o non vale niente lui. Di sottofondo rumoreggia un canto tribale azteco, di quelli che mettevano a palla sullo stereo prima di mangiarsi il capotribù nemico. In umido, come Bigazzi.
Una firma qui, un autografo qui… secondo le regole previste dalla legge… lascia ogni suo bene all'erede al trono del Principato del Disagio. Molto bene, un timbro ed è a posto. Gli organi li vuole donare per la ricerca? Come no. Ha da accendere?
Crediamo nella pazzia che si fa azione. Siamo quei pazzi di professione che nascondono la propria ragione nella fondina. Siamo ferrei nel nostro mestiere, né ragionevoli né moderati. Le nostre tasche potrebbero essere piene, ma sono libere da ogni costrizione materiale, poiché mai abbiamo osato profanarle.
Non siamo affetti da crisi di identità: ne abbiamo così tante da doverle alternare. Ieri saltellavo con una tromba simulando la breccia di Porta Pia nel mio garage, oggi piango sulla foce di un fiume lamentando di non trovare più quel sasso colorato che facevo saltare sull’acqua. Nulla di ciò che apparteneva al giorno precedente ha senso in quello successivo, poiché in mezzo c’è una luna e c’è un cielo stellato, che già costituisce un’era a sé. Parlo in armeno per ore con un imperatore kazaco, prima di capire che sto soffiando in una bottiglia di aceto per aspirarne gli aromi. In fondo, chi siamo noi?
Siamo il pendolo tra il nichilismo e il Superuomo. Passiamo dal desiderio ardente di elevarci sopra noi stessi e sopra il mondo, a quello di volerci restare sotto per sempre. Dall’aquila al verme, il nostro animale totem può saltellare beatamente da un estremo all'altro scivolando sulle le vie di mezzo.
Teniamo monologhi con gli altri, dialoghi su noi stessi e discorsi con gli animali. Ci teniamo alla cura delle relazioni con il nostro io: è sufficiente qualche telefonata alla coscienza prima di andare a dormire e un po’ di pubbliche relazioni nel fine settimana con l’autostima. Il miglior interlocutore è colui che non si affanna a trovare un difetto di pronuncia ad un’orazione il cui vocabolo meno onomatopeico è “clap clap”. Come destinatari, agli uomini preferiamo gli animali, che, nemmeno tanto per assurdo, capiranno meglio di altri il senso di questo manifesto.
La nostra religione è Romanticismo; la nostra democrazia è Reazione. Sul nostro altare soppesiamo i sentimenti, per redigere attentamente l’andamento in borsa delle emozioni e delle sensazioni. Si badi che Romanticismo non è nulla di poetico né sdolcinato: un corvo intento a recidere chirurgicamente l’occhio di un cadavere sul ciglio della strada è per noi un quadretto romantico. Quello che intendiamo con Reazione è invece l’asse politica del nostro essere e divenire: il rifiuto di ogni giogo che non sia spontaneamente addossato; il biasimo nei confronti dell’attuale, della moltitudine e del perbenismo; la consapevolezza che tutto scorre: all’infuori, naturalmente, della mediocrità umana.
Vieni nostra trinità: misantropia, disprezzo, isolamento. Uno e trino è meglio di un gruppo di tre, perché troppe presenze implicano un eccesso di compagnia. Il nostro manifesto si prefigge di riunire ogni pazzo in una comunità platonica. Nessuna congregazione fisica, nessuna azione coordinata potrebbe esistere tra pazzi, perché frequenze diverse esigono canali diversi. E perché forse noi, una frequenza, nemmeno l’abbiamo.
« La pazzia è ribrezzo, veneralo. La pazzia è una disgrazia, accoglila. La pazzia è fame, cucinala. La pazzia è un incubo, realizzalo. La pazzia è un puzzle, confondilo. La pazzia è un sorteggio, pilotalo. La pazzia è un sole, contemplalo. La pazzia è un bonsai, coltivalo. La pazzia è una debito, screditalo. La pazzia è orrore, vomitalo. La pazzia è un mistero, difendilo. La pazzia è giuramento, onoralo. La pazzia è tristezza, piangila. La pazzia è una cadenza, marciala. La pazzia è una guerra, conducila. La pazzia è un ardimento, osalo. La pazzia è morte, seppelliscila. La pazzia è pazzia, saziala. »