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venerdì 28 maggio 2010

Discorso alle truppe



Quello che segue è il discorso alle truppe tenuto il 30 dicembre 1944 dal comandante tedesco Kurt Meyer della 9ª SS-Panzerdivision Hohenstaufen, confluita nel 1° Panzerkorps SS durante l’offensiva delle Ardenne.

Pur prendendo spunto da un episodio storico reale, la situazione è volutamente fittizia (Meyer, in realtà comandante della 12ª SS-Panzerdivsion Hitlerjugend, era stato catturato dai partigiani belgi prima dell’offensiva), a sottolineare l’irrilevanza della precisione storica particolare di fronte al significato universale delle parole.

“Soldati! O dovrei forse dire Camerati! Amici! Fratelli!

Se saremo sfortunati, su queste alture, in queste fredde giornate di inverno, finiremo tutti quanti a marcire in una fossa e i vermi ci divoreranno il fegato. Ma, in questi momenti decisivi, non crediate nell’esistenza di una vita ultraterrena: siatene assolutamente certi. I nostri busti mutilati dai cannoni nemici, i ventri falciati dalle mitragliatrici inglesi, gli arti stritolati tra il terreno e i carri americani: non saranno che solletico per noi. Noi, soldati e camerati prima che uomini. Noi che vivremo pienamente anche dopo la morte.

Nulla di ciò che è puramente materiale vivrà insieme a noi: non le case bombardate, né i possedimenti o le ricchezze; nemmeno i titoli sociali, gli effetti personali o i cinquanta grammi di pane nero che ci spettano a giornata. Ciò che attraverserà l’abisso fatale della morte saranno le bandiere, le insegne, le mostrine, le armi ancora calde per la battaglia e l’aquila indomita che portiamo sul petto. Nient’altro. Sopravvive infatti alla morte solo ciò che trascende la materia, che è sintesi di gloria e onore, fedeltà e sacrificio.

Ripenso alla nostra impresa e sono sempre più convinto di essere nel giusto. Qualcuno però ci ha definiti esaltati, pazzi, assassini, squilibrati, violenti, criminali. Altri ci etichettano tutt’ora come folli, kamikaze di una guerra perduta. Altri ancora, o forse sempre gli stessi, dopo la nostra morte ci chiameranno vittime inconsapevoli, burattini, servi dei signori della guerra. La verità, amici, è che tutti questi intellettualoidi, questi pennivendoli e voltabandiera non ci conoscono. Essi rimangono comodamente seduti sui guanciali rigonfi delle loro poltrone, prostrati su scrivanie d’avorio levigato guadagnate vendendo menzogne. Loro non sono in piedi con noi oggi.

Noi, ognuno con la propria storia, con le proprie motivazioni, i propri principi, ideali, paure e sogni. Noi, manipolo di volontari, ultimi cavalieri del coraggio, fieri eredi di sangue e storia gloriosi. Noi figli, fratelli, padri e sposi della Patria.

Una guerra perduta… Ho davanti ai miei occhi duecento uomini in piedi, forti, giovani, arditi. Duecento divise armate davanti a me e un caldo sole di mezzogiorno sulla testa. Guerra perduta? Non vedo la sconfitta nemmeno nel cielo.

Lo sbarco è compiuto e con la presa di Parigi la strada è ora spianata, dicono. Non hanno fatto i conti con gli MG42, gli MP44, col filo spinato, le granate, i Panzer, i muscoli e i pugnali tedeschi. Siamo sulle Ardenne e non alle Termopoli, siamo duecento e non trecento, ma le gesta degli Spartani di Leonida riecheggiano come tuoni nelle nostre menti. La storia non aspetta altro che un’altra impresa gloriosa da annoverare tra le sue pagine sempiterne. Quest’oggi, camerati, la accontenteremo.

I nostri nemici ci sottovalutano: sapremo trarre forza da questa loro arrogante leggerezza. Credono forse di essere in crociera sul Missisipi o sul Tamigi? Presto capiranno che siamo nati tra le onde irrequiete del Danubio e del Reno. La miglior difesa è nell’attacco, ce lo ha insegnato lo stesso Führer: non ci resta che seguirlo.

Respirate fino all’estremo momento il sapore della natura. Possiate trovare, tra questi colli europei, la forza per non cedere mai di fronte al nemico. E nei momenti difficili, fratelli, ricordate di volgere sempre lo sguardo verso il cielo: è lassù che ci ritroveremo.

Vi chiedo oggi di combattere come non avete mai fatto, come non avreste mai pensato di fare. Che le mie parole vi cullino furibonde nell’assalto!

Stringete le armi, soldati, scaldate i cuori, sorridete. Vinceremo questa guerra se non perderemo l’onore.”